giovedì 7 novembre 2013

Genitori che avventura! Intervista a Sofia Mattessich (seconda parte)

Continua l'intervista a Sofia Mattessich, autrice del libro "Genitori che avventura! Principi pratici per educare i figli" edito da San Paolo, di cui trovate qui la prima parte.

Quali suggerimenti può dare a una mamma e un papà che desiderano coltivare di più la relazione con i propri bambini, dalla nascita via via fino ai cinque anni?

Suggerisco: coccole, parole, giochi, apprendimento. Ai papà suggerisco anche di partecipare fin dall’inizio ai compiti di accudimento, come ormai sempre più spesso succede.

COCCOLE. Fin dalla nascita, il bambino ha bisogno non solo di contatto fisico, ma anche di coccole. I gesti con cui tocchiamo il piccolo e le parole che gli rivolgiamo devono esprimere la tenerezza e l’affetto che proviamo per lui; se noi genitori esprimiamo questi sentimenti anche all’interno della coppia, è più facile che essi circolino poi in tutta la famiglia.

PAROLE. Non è mai troppo presto per parlare con un bambino. I neonati apprezzano il suono della nostra voce, che ha su di loro un effetto calmante; spieghiamo dunque loro che gli stiamo per cambiare il pannolino, che gli mettiamo il golfino, ecc. Man mano che i bimbi crescono, continuiamo a parlare con loro (non “a loro”) adeguando i discorsi all’età e mostrandoci sinceramente interessati a ciò che raccontano.

GIOCHI. Per un bambino, i momenti trascorsi a giocare con un adulto amorevole andranno a costituire nella sua memoria un patrimonio indelebile di emozioni positive. Adattiamo il tipo di gioco all’età di nostro figlio (quando è ancora molto piccolo, stiamo attenti a non sovrastimolarlo e a mantenere un ritmo lento); osserviamone le preferenze e assecondiamole, tenendo presente che possono variare in base al livello di stanchezza e all’umore, esattamente come per noi. 

APPRENDIMENTO. Il bambino ha sete di apprendere e noi siamo il suo punto di riferimento: a noi chiede il nome e la funzione di ogni cosa, dalle nostre reazioni (oltre che dalle nostre parole) impara quali situazioni e quali persone sono “buone” e quali invece devono destare preoccupazione. Condividere con il piccolo le nostre conoscenze (anche leggendo libri e raccontando storie) e insegnargli le nostre abilità, svolgendo qualche attività insieme (per esempio: stendere i panni, innaffiare i fiori, lavare l’auto), è un ottimo modo per approfondire e consolidare la relazione, ricordando che fino ai 5-6 anni è bene che l’apprendimento non sia strutturato, ma che rimanga sul piano del gioco, e che non è importante la quantità di nozioni e abilità che riusciamo a insegnare, ma la curiosità e la passione che riusciamo ad accendere. Cerchiamo di proporre al bambino conoscenze e attività calibrate sulle sue capacità, in modo che sviluppi la fiducia in se stesso e si senta in gamba.

Lei suggerisce di mettersi nei panni del bambino per capire il suo punto di vista: come possono fare i genitori?

Prima di tutto, noi genitori dobbiamo pensare all’emozione che il piccolo sta provando in un dato momento; fino ai 5 anni, le risposte emotive dei bambini sono molto semplici, riferibili alle cosiddette “emozioni di base”: rabbia, paura, sorpresa, gioia, tristezza, gelosia, imbarazzo. 
Poi dobbiamo identificarne le cause, che in genere a quell’età sono legate al presente: a quel che è successo appena prima o a quel che il bambino si aspetta succeda subito dopo. In questo modo, ci siamo sintonizzati sullo stato interno di nostro figlio e possiamo insegnargli a verbalizzare le sue emozioni e a esprimerle con parole e comportamenti adeguati. Per esempio, invece di limitarci a sgridarlo perché ha dato uno spintone al fratellino, possiamo dirgli: “capisco che sei arrabbiato perché Dario ti ha preso l’automobilina con cui stavi giocando tu, ma non si danno gli spintoni; puoi dirgli ‘ridammi l’automobilina che ci stavo giocando io, prendi quest’altro giocattolo’”.

Ricordiamo che la capacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni non è innata, ma si deve apprendere; se non insegniamo al bambino a riconoscere che sta provando rabbia e che cosa l’ha causata, lui sarà consapevole soltanto del fatto che gli viene da dare uno spintone al fratellino: bisogna spiegargli che la rabbia è giustificata, ma che va espressa in un altro modo; se ci limitiamo a condannare lo spintone, il bambino capirà che il suo impulso a spingere è sbagliato (mentre è normale) e non sarà affatto facile per lui imparare da solo come gestirlo la prossima volta che lo sentirà.

Cerchiamo, inoltre,  di tenere presente i limiti cognitivi e di giudizio morale di un bambino piccolo. A partire dai due anni, il bambino ha bisogno di separarsi da noi genitori e, proprio come un adolescente, raggiunge quest’obiettivo anche attraverso l’opposizione; ma gli strumenti disponibili a quest’età per opporsi sono ancora rudimentali: per esempio, possono consistere semplicemente nel fare il contrario di quello che diciamo noi, apparentemente per il solo gusto di provocarci; quando perdiamo comprensibilmente le staffe, ricordiamo qual è la motivazione del bambino (crescere, separandosi da noi) e quali i suoi limiti cognitivi. Per quanto riguarda la capacità di giudizio morale, non stupiamoci per esempio se un bambino di tre anni appare dispiaciutissimo perché ha rotto qualcosa inciampando per errore, ma non sembra sentirsi in colpa per avere dato volontariamente un forte spintone al fratellino che per fortuna non si è fatto niente; i piccoli sono molto concreti e giudicano la bontà di un’azione in base alle sue conseguenze, non all’intenzione. 
Ricordiamoci anche che un bambino di quest’età non attribuisce ai gesti significati mediati culturalmente che a noi possono apparire scontati; per esempio, considera sputare un gioco divertente che lui sa essere disapprovato dai genitori, magari perché poi costoro devono pulire, ma non lo considera certamente un gesto di disprezzo.

(continua)

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