lunedì 30 settembre 2013

Quando è ora di togliere il ciuccio?


A che età è consigliabile togliere il ciuccio? Come affrontare l’abbandono del ciuccio? Sono molti i dubbi e le domande dei genitori su questo tema e oggi proviamo a dare qualche consiglio utile.

Ovviamente non c’è una ricetta unica che funziona, dato che ogni bambino è diverso e che ogni famiglia ha il proprio equilibrio.
Innanzitutto bisogna premettere che la suzione è un gesto naturale nei bambini, soddisfa il bisogno primario della nutrizione ed è un modo per contrastare la paura e la solitudine. La forma del ciuccio ricorda quella del capezzolo della mamma e permette al bebè di calmarsi e autoconsolarsi quando la mamma è assente. Per questo motivo è considerato un aiuto psicologico: può infatti essere utile a conciliare il sonno, a scaricare la tensione, farlo sentire sicuro e protetto e dargli piacere (succhiare rappresenta un metodo di esplorazione del mondo circostante, infatti dalla nascita ai due anni il bambino porta alla bocca qualsiasi oggetto, dal giocattolo ai piedi e alle mani).

Come dicevamo all’inizio, non c’è un momento particolare per togliere il ciuccio al bambino, ma generalmente avviene spontaneamente intorno ai due o tre anni di età (o comunque entro i quattro), cioè quando il piccolo acquisisce fiducia in se stesso. In tutti i casi il distacco non deve essere improvviso, bensì progressivo e senza fretta.
Inizialmente si può decidere insieme al bimbo dove conservarlo (magari in una scatolina) e darglielo quando lo richiede espressamente, per esempio, quando va a fare la nanna. Si possono fare delle concessioni che lo gratifichino quando accetta di farne a meno, per esempio darglielo per il pisolino pomeridiano. Si potrebbe proporre di dare il succhiotto al suo pupazzo preferito, in modo che non si senta triste quando lui non c’è. Potete anche lasciarlo alla fatina dei ciucci, che porterà un dono in cambio.Volendo potete stabilire insieme (con qualche settimana d’anticipo) la giornata in cui “diventerà grande”. E quel giorno, rinunciando definitivamente al suo ciuccio, avrà in cambio un regalino o una festa in famiglia, quasi fosse un compleanno. In questo caso, create attesa mano mano che vi avvicinate alla data stabilita, affinché lo senta ancor di più come un momento speciale. 
Infine potete proporgli di regalarlo a un bambino nato da poco. Il “regalo” funziona se vostro figlio lo conosce (magari è il bebè di amici di famiglia o parenti) ed è di indole generosa.

In tutti questi casi, è importante che il bimbo si senta coinvolto e partecipi all’evento, così che, se in futuro avrà nostalgia del ciuccio, sappia che la decisione di abbandonarlo sia stata sua.
Siate pazienti e fate in modo che sia il bambino a decidere di “diventare grande”, quindi evitate di stressarlo con critiche o rimproveri, altrimenti rischiate che si rifugi nel ciuccio per i sensi di colpa e ansia.

venerdì 27 settembre 2013

Dal pannolino al vasino: ecco come fare!

risponde Erika Panzacchi
Nel primo anno di vita il bambino fa la pipì e la cacca per riflesso, cioè non è cosciente dei propri processi fisiologici e non può controllarli in modo volontario, come invece fanno gli adulti. Così ad esempio, ad un anno di età, se il bambino si fa la pipì addosso e bagna il pavimento, non guarda il laghetto di pipì sul pavimento perché non associa se stesso alla pipì.
Verso i due anni (dai 18/20 mesi in poi) il bambino comincia a capire il collegamento tra la pipì o la cacca e se stesso, cioè sa che è lui che li ha fatti. Da questa età inizia a percepire i segnali che gli indicano che sta per fare i bisogni e impara progressivamente a trattenere contraendo gli sfinteri, i muscoli della vescica e dell’ano.
Non si può stabilire un periodo adatto per tutti i bambini, perchè ogni bambino ha un proprio corso di sviluppo. In linea generale però si può dire che mettere il bambino troppo precocemente sul vasino può far sì che ci si metta più tempo. Alcuni bambini sono molto veloci e in una settimana riescono a togliere il pannolino, ad altri invece occorre più tempo, l’importante è non farsi prendere dall’ansia e rispettare i tempi del bambino.
Per alcuni bambini il percorso inizia quando il bambino dice alla mamma, subito dopo averla fatta, “cacca/pipì”. Questo è un segnale che il bambino ha preso consapevolezza di ciò che sta facendo ed è pronto per iniziare a provare. Altri bambini invece ci fanno capire che sono pronti perché riescono a rimanere asciutti tra un cambio e l’altro.
In ogni caso è bene che il processo sia graduale: si può provare a togliere il pannolino, metterlo sul vasino/water, quindi provare a lasciarlo senza pannolino per un paio d’ore al giorno e vedere cosa succede. Se in questo lasso di tempo la fa 10 volte addosso, significa che non è ancora pronto. Potete allora riprovare dopo alcuni mesi. Se invece si vede che riesce a tenerla o che dice “pipi” subito dopo averla fatta e la fa addosso solo una volta potete continuare su questa strada aumentando progressivamente il tempo in cui rimane senza pannolino. E’ importante non sgridare il bambino quando si fa la pipì addosso.
Può essere utile sostituire il body con maglietta e mutandine in modo tale che il bambino sia più autonomo nella gestione del suo corpo.
Infine, è importante inoltre comunicare sempre al nido la decisione di togliere il pannolino in modo tale che vi sia coerenza tra ciò che viene fatto a casa e ciò che viene fatto al nido.

mercoledì 25 settembre 2013

Giornata nazionale delle Famiglie al Museo

Il museo è un luogo che ai bambini piace: possono scoprire cose nuove, vedere cose strane, cose che magari hanno visto sui loro libricini e che finalmente sono a portata di mano per essere toccati. Pensiamo che trascorrere del tempo insieme ai vostri bambini divertendovi, sia voi che loro, può solo essere positivo per la loro crescita e per il vostro rapporto.

Non possiamo proprio non invitarvi alla Giornata Nazionale delle Famiglie al Museo che si terrà in tutta Italia Domenica 13 ottobre 2013 (ideata da http://kidsarttourism.com/).

Trovate indicazioni dettagliate su FaMu (Giornata Nazionale delle Famiglie al Museo). Su questo sito c'è un elenco abbastanza corposo dei musei che hanno aderito. Sono divisi per regione e poi per provincia.
C'è proprio l'imbarazzo della scelta, ma non fatevi sfuggire questa occasione!

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lunedì 23 settembre 2013

È importante che un bambino vada a dormire regolarmente allo stesso orario?


Risponde Luana Nosetti, pneumologa pediatra

La regolarità è fondamentale per i bambini.
È importante farli coricare sempre alla stessa ora perché in questo modo si instaura una routine, che li rassicura e permette loro di riconoscere il momento di andare a dormire. Quindi, una volta individuato l’orario ottimale (che può variare da bambino a bambino), questo va rispettato tutti i giorni, possibilmente senza eccezioni.
Ci sono piccoli che, passata una certa ora, fanno fatica a prendere sonno e tirano tardi, ma al mattino devono comunque svegliarsi presto per essere portati all’asilo o dalla nonna, finendo così per perdere una parte importante del loro riposo.

Teniamo presente che un bambino non ha ancora la nozione del tempo, quindi è inutile dirgli “sono le nove, si va a dormire”. Bisogna, piuttosto, scandire gli orari ricorrendo a punti di riferimento concreti, per esempio: “quando mamma e papà finiscono di cenare, è ora di andare a fare la nanna”.

venerdì 20 settembre 2013

Far girare l'aria in classe per essere più reattivi e meno assenti

Può un semplice gesto, comune, quotidiano e davvero facile, aiutare i nostri bambini ad essere più attivi, attenti e studioso? Beh questo bellissimo articolo di Elena Meli ci aiuta a capire come può essere possibile tutto ciò soltanto aprendo la finestra al momento giusto!
A breve le scuole riapriranno i battenti. Così bambini e ragazzi, da ora e per i prossimi mesi, si ritroveranno a passare gran parte della giornata al chiuso, entro spazi che dovrebbero essere confortevoli e salutari: aule ben illuminate, con una buona ventilazione e senza sostanze dannose nell’aria. In realtà non è sempre così, anche se spesso basterebbe poco per migliorare la qualità degli ambienti dove si studia. Un recente studio del Berkeley Lab, in California, ad esempio, ha dimostrato che anche solo aprire spesso le finestre in classe migliora parecchio la ventilazione e riduce il numero di assenze per malattia degli studenti. Gli autori, raccogliendo dati in 162 aule di 28 scuole elementari, si sono accorti che se l’aria viene fatta circolare in misura adeguata (l’ideale sarebbe una ventilazione pari a 7 litri al secondo per studente) le assenze dei bambini si riducono di circa il 3,5% all’anno. Non poco, visto che ciò si tradurrebbe per le famiglie in un risparmio di 80 milioni di dollari in cure, babysitter e costi per i giorni di lavoro persi dai genitori.
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VENTILARE LE AULE - Danilo Cottica, responsabile del Centro ricerche ambientali dell’Area di Igiene Ambientale e Industriale dell’IRCCS Fondazione Maugeri di Pavia, conferma: «Se non c’è un sistema di trattamento dell’aria interna – che peraltro in caso sia presente va mantenuto in perfetto stato ed efficienza – è importante ventilare le aule aprendo le finestre al mattino presto, quando non c’è il traffico delle auto che portano i bimbi a scuola. Se l’aria viene cambiata quando fuori c’è il picco di inquinamento, infatti, l’effetto diventa negativo perché entra lo smog. Purtroppo nelle scuole, così come negli uffici e nelle abitazioni, non di rado l’aria è più inquinata rispetto a quella in strada: all’interno, gli inquinanti si concentrano se non c’è una ventilazione adeguata, se vengono usati materiali che emettono sostanze tossiche o per abitudine scorrette, quali il fumo».
IL PROGETTO - Cottica è fra i responsabili del «Progetto Scuole» a Pavia: dall’inizio del 2013 in 8 istituti della città (5 primarie, 1 secondaria di primo grado e 2 secondarie superiori per un totale di circa 400 ragazzi) i ricercatori hanno utilizzato ilRadiello, uno strumento brevettato dalla Fondazione Maugeri, per valutare con precisione la qualità dell’aria che respiriamo. Gli apparecchi hanno assorbito per tre giorni l’aria dentro e fuori le aule, mentre a bambini e ragazzi è stato chiesto di contare le auto che passavano fuori dalla scuola per valutare l’eventuale correlazione fra traffico e inquinanti indoor. I risultati, presentati nel maggio scorso al convegno «Progetto Scuole» da Elena Grignani, igienista industriale della Fondazione Maugeri, dimostrano che moltissime sostanze dannose sono più concentrate in classe che all’esterno: nelle aule e nei laboratori degli istituti tecnici, dove si fa uso di composti chimici, l’incremento degli inquinanti indoor è impressionante e i composti organici volatili ad esempio arrivano a essere fino a 40 volte di più, ma l’effetto è visibile anche all’interno delle scuole elementari e medie, dove si può arrivare a concentrazioni di inquinanti perfino 10 volte maggiori rispetto all’esterno.
LE CONSEGUENZE - Le conseguenze possibili vanno da un maggior rischio di allergie, riniti, irritazioni oculari, problemi respiratori, anche se, naturalmente, molto dipende dalla quantità di composti tossici presenti: più ce ne sono, più sale il rischio di effetti avversi sulla salute. Ma da dove vengono le sostanze chimiche di cui abbonda l’aria delle scuole? «Allo smog che entra dall’esterno si aggiungono le emissioni dai mobili e dai prodotti di pulizia, nonché i composti che provengono da colle, pennarelli, carta, profumi. Chiudere il bianchetto dopo averlo usato, ad esempio, è una buona abitudine da insegnare a tutti i bambini — osserva Cottica —. Purtroppo, non esistono regolamenti veri e propri per tutelare l’ambiente scolastico nel nostro Paese. In Francia sono state definite linee guida per classificare le scuole in base alla qualità dell’aria e identificare procedure per ridurre l’inquinamento interno; in Italia tutto è lasciato al buonsenso degli insegnanti, anche se il progetto GARD Italy (Global Alliance against Chronic Respiratory Diseases) per la prevenzione delle malattie respiratorie si sta in parte ispirando alle iniziative francesi».

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I RISCHI A SCUOLA - Che la scuola e i rischi sanitari per chi la frequenta nel nostro Paese siano un po’ una «terra di nessuno» lo conferma Salvatore Tringali, dirigente medico dell’Unità operativa ospedaliera di Medicina del lavoro dell’IRCCS Fondazione Maugeri di Pavia: «La sorveglianza sanitaria costa e la scuola non ha soldi — sintetizza il medico —. Purtroppo, oggi non riusciamo quasi mai a prevenire i rischi sanitari nelle strutture scolastiche, come sarebbe nello spirito della legge 81/2008 sulla sicurezza sul lavoro, ma di fatto solo a intervenire quando è già emerso un problema. I funzionari Asl vanno nei cantieri e nelle aziende a più alto rischio, ma a controllare che tutto sia a posto nelle scuole non va nessuno». I pericoli per la sicurezza e la salute dei ragazzi e degli insegnanti infatti esistono, aria poco pulita a parte, nonostante in gran parte dei Documenti di Valutazione dei Rischi vengano minimizzati escludendo dalla scuola la presenza del medico competente: ad esempio, educatori e insegnanti di sostegno che devono gestire bambini e ragazzi con disabilità dovrebbero essere valutati per la movimentazione di carichi e dal punto di vista psicoattitudinale; nei laboratori esiste un rischio chimico che per alcuni, come gli allergici, potrebbe essere consistente (basterebbe far compilare agli studenti un piccolo questionario per individuare chi è più suscettibile alle sostanze che possono essere manipolate a scuola). «Le scuole dovrebbero avere spazi e strutture idonee alle attività che vengono svolte, con caratteristiche previste da norme UNI-EN — spiega Tringali —. Ad esempio, dovrebbero essere presenti luci regolabili così da assicurare che sulle lavagne vi sia una luminosità pari a 500 lux e nelle aule di disegno tecnico salga a 750 lux, mentre in palestra ne bastano 300, in mensa 200 e sulle scale 150. Perfino il colore delle pareti sarebbe utile per favorire la concentrazione o la socialità, scegliendo per i diversi ambienti tinte calde o fredde. Inoltre, bisognerebbe misurare la luminosità a 85 cm da terra, cioè dove si trova il piano di scrittura. Esistono, poi, otto tipi di banchi per altezza diverse (dagli 80 cm dei bimbi prima dei tre anni di età, ai due metri dei diciottenni)e con il piano inclinabile fino a 60 gradi, nonché sedie con schienali anch’essi inclinabili. Ma chi li ha mai visti nelle classi? Di rado la scuola garantisce la giusta postura: nelle aule di informatica spesso ci sono vecchi monitor profondi 50 cm piazzati sui banchi, che impediscono ai ragazzi di stare seduti come dovrebbero. Realisticamente, vista la scarsità di fondi, si può fare ben poco; però, aumentare le conoscenze e la sensibilizzazione di genitori e ragazzi potrà servire per far valere con più forza il diritto a scuole dove il benessere sia davvero una priorità».

mercoledì 18 settembre 2013

LITTLE SMILING MINDS L’intelligenza cresce giocando


E’ nato Little Smiling Minds, un progetto educativo estremamente innovativo, ideato dal mensile di divulgazione Focus, da Digital Accademia e dalla Dott.ssa Daniela Lucangeli, esperta di psicologia evolutiva e docente presso l’Università di Padova.
Little Smiling Minds ha lo scopo di unire il gioco all’apprendimento attraverso le appstrumenti semplici e sempre più diffusi anche tra i bambini. 
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Le app Little Smiling Minds sono uniche e diverse dalle altre app di gioco per due ragioni: si fondano sui principi derivati dagli ultimi studi in materia di apprendimento e scienze cognitive e coinvolgono i genitori in maniera esclusiva. Mentre i bambini giocano infatti, i genitori accedono ad una area pensata per loro dove possono comprendere in modo semplice cosa il figlio ha appreso e in che modo far progredire la sua intelligenza. 

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Come spiega Daniela Lucangeli, Professore Ordinario di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione Università di Padova, “L’intelligenza numerica, la capacità di vedere il mondo in termini di quantità, è innata nell’uomo. Abbiamo ereditato questa capacità dai nostri progenitori che l’avevano sviluppata per la sua enorme utilità: riconoscere dove c’era più o meno cibo o dove c’erano più o meno pericoli significava spesso potere sopravvivere, non fosse altro perché era sempre meglio incontrare un leone piuttosto che tre! Per questo oggi il bambino è in grado di riconoscere le quantità ben prima di sapere dare loro un nome. E quindi di imparare le basi della matematica purché siano insegnate in modo giusto, naturale: assecondando le sue capacità”.

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 “Contabosco” tiene conto del modo in cui apprendono i bambini e sfrutta le grandi potenzialità del gioco, che consentono di coinvolgerli fino dai tre anni, in modo divertente e facile.
All’avvio di ciascuna applicazione il bambino attraversa numerose aree di gioco, guidato dagli animali protagonisti dello scenario: ogni scena contiene 3 mini-giochi che propongono una competenza specifica e la consolidano; attraverso sette livelli di difficoltà.


I piccoli non sono mai lasciati soli nella loro esperienza di gioco; su tutte le app e sul sito http://littlesmilingminds.com/ c’è un’area dedicata ai genitori che permette di seguire passo dopo passo, senza essere invadenti, l’apprendimento del proprio bambino. Ogni volta che il bambino supera un livello di gioco, il genitore è raggiunto infatti da una mail che lo aggiorna sui progressi nell’apprendimento e gli dà consigli per potenziarne l’apprendimento, sempre giocando.
A breve saranno disponibili anche Contamare e Contasavana, dedicate alla stessa fascia d’età con giochi progressivamente più articolati. Little Smiling Minds proporrà nei prossimi mesi altre app, dedicate alla scoperta del linguaggio, le lingue straniere, e altre ancora.

venerdì 13 settembre 2013

Cosa fare quando due bambini litigano


Accade spesso che nella vita quotidiana si discuta o si litighi per divergenza di opinioni… beh, i bambini entrano in conflitto molto più spesso di noi grandi. Per la nostra cultura spesso il litigio, soprattutto dei bambini, viene visto come qualcosa di negativo, ma in realtà aiuta a crescere i nostri piccoli.

Spesso si è soliti leggere il conflitto attraverso il filtro “dell’ingiustizia” dove ne escono un vinto ed un vincitore e dove l’adulto interviene come regolatore e portatore di soluzioni. Quante volte se vediamo due bambini contendersi un gioco, interveniamo dicendo: “No Pierino, il gioco ce l’aveva prima Mario”? Il tutto mentre prendiamo di mano il gioco a Pierino e lo restituiamo a Mario. In questo modo noi caliamo dall’alto una soluzione, senza lasciare spazio al bambino di intervenire nella contesa in modo “creativo”. L’adulto pertanto sarebbe bene che non si ponesse come risolutivo del conflitto, ma piuttosto come regolativo.

Il conflitto è infatti relazione in quanto interessa entrambi i bambini. E’ opportuno rivolgersi ai piccoli chiedendo loro cosa sta succedendo. O verbalizzandogli la presenza di un problema da risolvere toccando entrambi i bambini che si trovano in conflitto. Se forniamo loro una soluzione, stiamo semplicemente rimandando il problema, poiché il bambino in questo modo non comprende e non impara a stare con gli altri, per cui in una situazione simile rimetterà in atto lo stesso comportamento errato. In parole povere, l’intervento dell’adulto dovrebbe offrire al bambino non la soluzione, quanto piuttosto l’opportunità di trovare soluzioni proprie.
E' importante far capire ai bambini che si può stare insieme anche se le opinioni divergono. Il nostro compito di adulti (genitori, nonni, educatori,…) è proprio quello di aiutarlo ad acquisire gli strumenti per affrontare la vita.

mercoledì 11 settembre 2013

Perché i bimbi piccoli mordono? E cosa possiamo fare?


Vi è mai capitato di andare al nido e di trovare sul braccio del vostro piccoletto un bell’orologio che non fa tic tac, ma è il segno di un bel morso ricevuto da un compagno?
Oppure di sentirvi dire dall’educatrice: “Oggi suo figlio ha morso l’amichetto”.

Ma perché i piccoli mordono? E come ci dobbiamo comportare noi genitori?
Ce lo spiega la dottoressa Francesca Santarelli, psicologa infantile.
“Prima o poi molte mamme si trovano a dover affrontare un problema spinoso e difficile da affrontare sul piano educativo ed emotivo perché crea mille ansie e paure: il sentirsi dire, spesso dalle educatrici della scuola materna o del nido, che il proprio piccolino “ha morso” un altro bambino (se non accade il contrario!).
In genere queste situazioni, hanno origine proprio con l’inserimento del proprio bimbo nel mondo del sociale, cioè nelle prime relazioni con gli altri bambini e coetanei.
Il più delle volte ci si sente in colpa nei confronti del proprio piccolo e degli altri, in imbarazzo nei confronti delle altre mamme che non sempre sanno essere comprensive. Ci si sente spaventate e confuse perché spesso impreparate nel conoscere tale aspetto caratteriale del proprio bebè e non ci si sa come comportare di conseguenza.
Come affrontare tutto ciò?
Innanzitutto è utile comprendere che i bambini piccoli sperimentano e cominciano a comprendere il mondo che li circonda attraverso il contatto orale con gli oggetti. La bocca è lo strumento attraverso il quale iniziano a conoscere gli oggetti che li circondano.
Intorno ai due anni il bambino comincia a comunicare anche attraverso i morsi. I bambini che ancora non parlano o che comunque parlano (giustamente) male, cominciano a comunicare rabbia e frustrazione mordendo. Provate ad immaginare di essere molto arrabbiate, oppure di essere contrariate da qualcosa e non aver la possibilità di dire “Basta!!” “No!!” e, soprattutto, di poter trasmettere all’altro i vostri sentimenti.
E’ una sensazione molto spiacevole e frustrante.
I bambini, intorno ai due anni, spesso non hanno ancora trovato un’alternativa valida all’esprimere la loro rabbia/frustrazione e, soprattutto, non hanno la piena consapevolezza del dolore che viene provocato mordendo.
E’ inutile, anzi, dannoso etichettare un bambino di due anni che morde come aggressivo pur esistendo, ovviamente, limiti che separano la normalità dall’aggressività.
Ciò che è di fondamentale importanza è infondere al bambino l’idea che mordere è sbagliato, provoca dolore e, soprattutto, fornirgli alternative.
Quando il bambino morde, è utile dirgli un secco e deciso NO!
Mostrarsi deluse e contrariate, senza però aggredirlo a nostra volta. Mostriamogli le conseguenze del suo gesto (facciamo per esempio vedere i segni lasciati sulla pelle dell’altro bambino, diciamogli che siamo tristi anche noi), spiegandogli con parole semplici che comprendiamo il fatto che sia arrabbiato ma che è possibile agire in modo diverso. Diamogli l’opportunità di capire che esistono alternative, spiegando in modo pratico quali sono. Ricordiamoci, in ogni caso, che non si pone MAI fine all’aggressività con altra aggressività

mercoledì 4 settembre 2013

Calma, costanza e pazienza: così i nostri figli imparano da noi

Mio figlio di 22 mesi butta tutto per terra, noi lo castighiamo e non gli facciamo vedere i cartoni in tv, ma lui non la smette, cosa fare?


risponde Maria Pia Guin, Coordinatrice delle Attività Didattiche di Aurora

Tutti i bambini, prima o poi, fanno come il suo e buttano tutto per terra. Spesso coincide con il momento in cui si mettono sul seggiolone, o nel lettino. E' un gioco, una prova di forza, un modo per richiamare l'attenzione o per giocare con noi: lui butta il gioco e ride, noi lo raccogliamo e glielo diamo di nuovo....e si ricomincia.
Poi, pian piano, il bambino impara che le cose non si lanciano, non si buttano, impara ad usare le cose in modo proprio, secondo la loro funzione. 

Una parte di questo apprendimento avviene in modo spontaneo, per imitazione, fa quello che vede fare, secondo la sua interpretazione, una parte gli deve essere insegnata.
Come? Non con i castighi, e tanto meno con castighi che non hanno nulla a che vedere con quello che lui deve fare. Non c'è nessun collegamento fra il buttare le cose e non vedere i cartoni.

Occorre essere presenti accanto al bambini, con costanza, pazienza perseverando nel nostro obiettivo con modalità dolci ma ferme aiutandolo ad imparare a fare le cose giuste. Quindi prima giochiamo con lui e raccogliamo quello che butta, poi lo raccogliamo insieme e in seguito sarà lui a raccogliere.

E' una ricetta infallibile, che sicuramente molte mamme hanno sperimentato, i bambini possono essere educati con le buone maniere, e ci danno grandi soddisfazioni quando ci dedichiamo ad insegnare loro le cose con affetto, dedizione e ripetendo con calma fin che serve.

E' importante iniziare presto e non avere fretta: i bambini imparano velocemente se capiscono quello che chiediamo, e se siamo costanti nel chiederlo: la serenità, la chiarezza e la costanza aiutano a instaurare buone abitudini di comportamento che rendono la vita più semplice e allegra e ci fanno stare bene.



lunedì 2 settembre 2013

L'inserimento al nido dei nostri bambini

Tra una settimana il mio piccolo inizierà la scuola materna. Sono preoccupata per l'inserimento perché non ha frequentato il nido. Cosa devo fare?


risponde Maria Pia Guin, Coordinatrice delle Attività Didattiche di Aurora

Ogni cambiamento comporta una difficoltà in quanto c'è sempre una parte di imprevisto e, quando si tratta di bambini piccoli, è bene non essere superficiali. Inoltre, nel suo caso c'è il distacco, il primo distacco importante!
Ogni scuola prevede un periodo strutturato denominato "inserimento" per aiutare genitori e bambini a conoscere il nuovo ambiente, a frequentarlo in modo graduale per evitare un distacco troppo prolungato dalla mamma e per abituarsi pian piano alle nuove regole. 

Durante l'inserimento il bambino rimane a scuola poche ore al giorno in compagnia della mamma o del papá e poi pian piano si allunga il tempo della sua permanenza e diminuisce quello dei genitori finchè, nel giro di una settimana o poco più,  è in grado di lasciare serenamente chi lo accompagna la mattina e di giocare con gli altri bambini senza problemi.
Tutti hanno bisogno di un tempo per inserirsi, un tempo per conoscersi e per abituarsi agli altri. Genitori, bambini ed educatrici fanno lo stesso percorso con modalità diverse e un obiettivo comune: aiutare il bambino a conoscere il nuovo ambiente e abituarsi ad esso.

Proprio così, occorre un cambio di abitudini che non è sempre facile e immediato, il compito degli adulti è quello di favorire questo cambio, che deve essere graduale, dare sicurezza e serenità al bambino. Occorre da parte degli adulti, soprattutto della mamma, molta serenità, calma e pazienza nel vivere con il figlio l'inizio di una bella esperienza utile per la sua crescita, per la socializzazione, per il raggiungimento dell'autonomia e per lo sviluppo di tante capacità. Questo comporta un distacco momentaneo, ma quando ci si ritrova ci saranno tante cose belle da raccontare.

Non tutti i bambini frequentano il nido prima della scuola dell'infanzia, la cosa importante è aver sviluppato una buona relazione con la mamma e  il papà e le altre persone, poi viene naturale aprirsi agli altri e stare bene con gli altri bambini.
La serenità della mamma, la fiducia dei genitori nella scuola scelta e la condivisione del progetto educativo sono fondamentali per iniziare bene questo percorso, il resto viene da sè.

Ormai da tanti anni la scuola dell'infanzia è una grande alleata della famiglia e si colloca in quella rete di aiuti di cui la famiglia ha bisogno per crescere i figli.

Le educatrici collaborano con i genitori nell'educazione dei figli e si stabilisce un rapporto di fiducia e di stima reciproca. Inoltre i bambini apprezzano subito l'ambiente ludico, sereno, stimolante e creativo e diventano protagonisti delle loro giornate, si sentono a casa loro in compagnia di nuovi amici con cui condividere le loro esperienze.