giovedì 19 dicembre 2013

Le letterina di Natale è anche un modo per crescere…


La letterina di Babbo Natale, un classico di questo periodo. Ci sono bambini che iniziano a Novembre a ritagliare immagini su cataloghi di giochi, fare l’elenco delle cose. La letterina diventa anche stimolo per la creatività quasi: che ci incolla le immagini, chi utilizza il pc, chi fa lista della spesa, chi scrive pagine e pagine di parole destinate a quel nonno con la barba bianca lunga e vestito di rosso. Insomma, una sicurezza e una tradizione certa. Per lo meno fino a qualche giorno fa: ho infatti letto sul Corriere un articolo in cui si dice che alcuni genitori ritengono che far mettere su carta le speranze (con in pole position le novità martellate senza tregua dalla tv) abbia un valore diseducativo e che, in tempi di crisi, sia importante (e necessario) non incentivare il consumismo. Ma questo è giusto o sbagliato?
L’articolo continua proponendo un’intervento che viene direttamente dall’Università Cattolica di Milano: Manuela Cantoia, docente della Spae, Servizio di Psicologia Apprendimento ed Educazione, : «Che errore abolirla. Non è vero che non abbia valore, semmai è proprio il contrario».La dottoressa Cantoia afferma infatti che la lettera insegna il valore dell’attesa, aiuta a coltivare i desideri e a compiere scelte, ma è chiaro che il bambino va guidato, a tutte le età.
Per far capire ai più piccoli questa attesa, dal momento che non hanno il senso del tempo, una bella idea è quella di evitare di proporla tanto tempo prima, ma aspettare che si avvicini il giorno di Natale e creargli un conto alla rovescia, un calendario dell’avvento che scandisca il tempo e che lo aiuti a capire che scopo ha fare la letterina.
Un altro punto importante citato dalla dottoressa è la lunghezza. «La lettera non è la lista della spesa dove si segnano tutte le cose che mancano in dispensa – sottolinea. – Uno, due, tre regali importanti, a seconda delle proprie possibilità, e poi una serie di piccole richieste». La dottoressa aggiunge che la lettera non va necessariamente chiusa subito: a volte c’è proprio bisogno di tempo per riflettere sulle scelte, far emergere i desideri, le priorità. Può quindi rimanere appesa al frigorifero anche per giorni e modificata seguendo i nuovi impulsi. «E, una volta spedita inizia il tempo dell’attesa: è una tappa importante, forse la prima vera occasione per imparare ad attendere».
E voi che ne pensate? Com’è la letterina dei vostri figli?

martedì 17 dicembre 2013

Giovani miopi in aumento con l’«occhio» da videogame



di Mario Pappagallo, corriere.it

Un bambino su 5 è oggi miope, nel 2025 lo sarà uno su due. Il doppio. Effetto generazione web dipendente. Effetto genitori disattenti, che preferiscono figli silenziosi davanti alla tv o a un videogioco all’impegno di portarli a giocare in un parco. Per esempio a pallone, che esercita la visione da lontano mentre si è all’aria aperta. Inutile avere 10 decimi se si cresce guardando soltanto poco oltre la punta del naso, incollati a un pc, a un tablet, a uno smartphone. O comunque con un panorama limitato dalle mura domestiche. 
È quanto emerso da uno studio su 11mila alunni pubblicato su una rivista scientifica di settore. La poca luce naturale e la troppa di colore blu (led) sono la causa dell’evoluzione verso l’Homo miopens. Con l’«occhio» da videogame. Il rischio è una generazione, la prossima, complessata dagli antiestetici occhiali.
SCHERMI PER TUTTI - La miopia colpisce oggi più di una persona su 3 (35% circa) in Europa, contro il 20% degli Anni 70 e il 10% degli Anni 30. Soltanto in Italia il problema riguarda al momento 12 milioni di persone, ma il trend è in continua crescita. «E non basta - dice Antonio Scialdone, direttore dell’Oftalmico-Fatebenefratelli di Milano -, il miglioramento delle tecniche di diagnosi a spiegare la crescita esponenziale». Si è visto che l’aumento dei miopi è comune denominatore di «tutti i Paesi in cui ha preso piede l’utilizzo massiccio delle nuove tecnologie». Quando uno schermo, più o meno grande, diventa un compagno di vita - e sempre più spesso anche di scuola, grazie alla rivoluzione delle classi «senza carta» -, se non si usano prudenza e buon senso, è la salute degli occhi a farne le spese. Con un rischio tanto maggiore quanto più prolungato è l’impiego dei dispositivi digitali: il 14% degli «adepti» arriva a totalizzare 10-12 ore di utilizzo, mentre il 30% resta connesso per 6 ore (datiThe Vision Council del 2012). In media, gli italiani trascorrono più di 4 ore al giorno davanti alla tv e a minischermi hi-tech (pc, tv digitali, smartphone, tablet). E i bambini, a causa dei videogame, superano anche le 4 ore.
EFFETTO LUCE BLU - Il risultato - spiega Lucio Buratto, chirurgo oculista milanese (Centro Ambrosiano Oftalmico) e presidente del 35° Congresso internazionale di chirurgia della cataratta e rifrattiva - è che «si costringono gli occhi a una messa a fuoco da vicino molto prolungata nel tempo, disabituandoli alla vista da lontano». C’è poi l’effetto luce blu, tipica dei led, che stressa la retina per la sfocatura e la riduzione del contrasto. Ma, soprattutto, sembra deleteria la mancanza di luce naturale e di vita all’aria aperta che abitua a guardare lontano. Due studi hanno dimostrato che, a parte la predisposizione genetica, ambiente e stili di vita hanno un’influenza prevalente. Ecco le conclusioni di ricercatori cinesi (Taiwan) e danesi, riportate dalla rivista internazionale Ophthalmology: se i bambini stanno più tempo all’aperto si riduce il rischio di miopia perché la dopamina, un neurotrasmettitore prodotto nella retina proprio sotto l’effetto della luce naturale, gioca un ruolo cruciale nella trasmissione delle immagini al cervello, e sembra anche che sia in grado di evitare la crescita eccessiva dell’occhio dalla nascita ai 25 anni.
ALL’ARIA APERTA - «Crescita eccessiva - continua Buratto - che porta al cosiddetto “occhio troppo lungo” che è poi la lunghezza assiale tipica dell’occhio del miope». Lo studio di Taiwan è stato condotto su 11mila bambini, tra i 7 e gli 11 anni, di due scuole diverse. In una gli alunni godevano di numerosi intervalli all’aria aperta, nell’altra (gruppo di controllo) era proibito uscire. Dopo un anno, solo l’8,4% dei bambini che godevano di pause all’aria aperta ha sviluppato miopia contro il 17,6% dei segregati in classe. Oltre il doppio. Numeri confermati dopo un altro anno. Stessi risultati dallo studio danese e da uno precedente effettuato in Australia. Le conclusioni: tornare all’aria aperta, soprattutto nell’età dello sviluppo, e leggere libri e giornali su carta come sano allenamento a una giusta messa a fuoco in condizioni di luce naturale. 

martedì 10 dicembre 2013

Bimbi sani bevendo latte… ma non solo di mucca!


Quanti bimbi non bevono il latte al mattino? Tanti, tantissimi. Chi è allergico al lattosio, chi non ama il gusto del latte vaccino. E quante sono le mamme preoccupate? Praticamente tutte quelle che non credono in una colazione alternativa.
Il latte di mucca è un cibo importante, ma non fondamentale. Se al bambino non piace la bianca e nutriente bevanda, o se non può berla perchè è intollerante al lattosio, esistono delle alternative naturali: il latte vegetale, estratto da cereali, legumi e frutta secca: soia, mandorle, avena, riso e kamut.
Sono alimenti completi e, come vantaggio, non presentano le controindicazioni del latte di origine animale, essendo privi di colesterolo, lattosio, caseina, proteine e grassi animali, tutte sostanze che favoriscono l’obesità infantile.
Si possono quindi consumare tranquillamente in tutti i casi di intolleranze e allergie.
Inoltre, apportano vitamine, fibre, sali minerali e acidi grassi insaturi (in particolare Omega 3), utili a proteggere la circolazione e a difendere l’organismo dai radicali liberi.

Le mamme spesso temono che senza il latte vaccino al bambino venga a mancare il calcio, importante per la crescita. Ma non è l’unico alimento che ne contenga, anzi, nel latte di mucca ci sono sostanze che ne rallentano l’assimilazione. Perché il calcio sia assorbito dall’intestino e contribuisca alla formazione del tessuto osseo, è fondamentale la vitamina D, che si ricava dall’esposizione al sole.
È importante, quindi, che i bambini stiano all’aperto.
QUANTI TIPI CI SONO DI LATTE VEGETALE?
Latte di soia, ricco di proteine rassodantiÈ quello di più antica tradizione ed è anche il latte vegetale il cui contenuto proteico è molto simile (in quantità e qualità) a quello del latte vaccino. La composizione in aminoacidi essenziali di queste proteine è molto vicina a quella delle proteine di origine animale. Si tratta quindi di un alimento interessante per chi deve adottare una dieta con ridotto apporto di alimenti animali e, nel contempo, voglia consumare proteine di ottima qualità.
La maggior parte dei grassi del latte di soia sono di tipo insaturo e svolgono un importante ruolo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e nella riduzione dei processi infiammatori cronici. Il colesterolo è completamente assente e questo conferma l’utilità del latte di soia nell’alimentazione di chi è predisposto all’arteriosclerosi e al diabete. Nel latte di soia, infine, è particolarmente interessante il contenuto di ferro (40 mg/l), quattro volte superiore a quello reperibile nel latte vaccino. Si trovano in commercio preparazioni addizionate con calcio.
Latte di kamut, è povero di grassi e nutre la memoria
Questo latte contiene acqua e kamut, una varietà di grano duro di origine antichissima. Come il grano da cui è ottenuto, è povero di grassi e ricco di carboidrati e sali minerali, in particolare di magnesio e fosforo; è indicato quindi nei periodi di stress, convalescenza e di preparazione agli esami.
Latte d’avena, regola l’appetito
Questo alimento deriva da un procedimento simile a quello con il quale si produce il latte di riso. Gli ingredienti dei più diffusi prodotti in commercio sono acqua, 10 per cento di avena integrale e olio di girasole spremuto a freddo. È un ottimo sostituto del latte e può essere consumato al naturale o usato in cucina per la preparazione di piatti dolci e salati. Non contiene lattosio e colesterolo e per questo (considerando anche che l’avena è un cereale in grado di abbassare il livello di colesterolo-Ldl) è un alimento indicato soprattutto per chi è predisposto all’arteriosclerosi e alle patologie cardiovascolari.
Latte di riso, nutre e sgonfia
Lo si ricava industrialmente dal riso integrale con un procedimento di maltizzazione (iniziale germinazione del cereale che, in pratica, avvia una parziale digestione dell’amido contenuto nel chicco) e la successiva cottura. Segue poi una opportuna filtrazione per permettere l’allontanamento delle scorie e ottenere un liquido bianco e molto dolce con caratteristiche molto interessanti. Per migliorarne le proprietà nutrizionali, nei prodotti in commercio è anche aggiunta una piccola quantità di olio vegetale. Le caratteristiche di questo alimento, a differenza del latte di soia appena descritto, sono compatibili anche con le caratteristiche digestive e nutrizionali del lattante. Il latte di riso può quindi essere impiegato nell’alimentazione dei più piccoli (ma solo come integrazione o in parziale sostituzione del latte materno o del latte adattato) a partire, se necessario, anche dal primo mese di vita. La sua elevata digeribilità lo rende adatto non solo per l’alimentazione dei bambini, ma anche degli adulti, specialmente nei casi di infiammazione dell’apparato digerente (colite, colite ulcerosa, morbo di Crohn, ecc.).
Latte di mandorla
Ecco un altro alimento dal gusto delizioso (probabilmente il migliore in assoluto) e di lunghissima tradizione, specialmente nelle nostre regioni meridionali. Pur non potendo sostituire integralmente i prodotti specifici per i bambini di età inferiore ai 12 mesi, può essere molto utile per arricchire l’alimentazione del lattante nutrito con latte adattato e anche dopo lo svezzamento. Il latte di mandorle è ricco di acidi grassi polinsaturi, di sostanze antiossidanti, estremamente utili per la prevenzione cardiovascolare. Da notare anche il buon contenuto di calcio, magnesio, fibre e vitamina E.

giovedì 5 dicembre 2013

Lasciare i bambini ai nonni oppure no?


Lasciare i bambini ai nonni oppure no?
La scelta sembra scontata. Invece non è affatto semplice. I nonni sono una risorsa importante, fondamentale.
Ma se il loro modo di fare, i loro principi, le loro regole sono diverse dalle nostre, come ci dobbiamo comportare noi genitori?
Ad esempio, se chiediamo loro di fare alcune cose in una certa maniera e poi quando torniamo ci accorgiamo che nulla di quanto avevamo chiesto è stato fatto, che si fa?
Risponde la dottoressa Francesca Santarelli, psicologa dell'infanzia.
Si sa, l’argomento “nonni” è sempre una tematica che fa discutere e che, quasi in tutte le famiglie, si attiva dal momento stesso in cui si annuncia l’arrivo del piccolo erede! Non ne parliamo di cosa accade quando il cucciolo è poi nato, i primi momenti in cui tutto è concentrato sul nuovo arrivato, la questione dei ruoli da definire subito e della possibilità (o scelta obbligata) di affidarlo a loro mentre si va a lavorare.
Se in più ci aggiungiamo controversie antiche che ci appartengono come figli e conflitti non risolti con le rispettive e altrui famiglie di origine, il quadro si complica non poco e spesso va ad incidere non solo sulla gestione/educazione del bambino, ma anche sulla stessa qualità della vita di coppia.
Che ci piaccia o no, il ruolo che i nonni svolgono nell’accudimento dei piccoli è molto importante, sono figure che comunicano affetto e tenerezza, trasmettono un senso di continuità e insegnano l’arte del tempo che passa, una  storia che congiunge il passato, il presente e il futuro.
I nonni aiutano a far capire al bimbo che anche i suoi genitori sono stati bambini e hanno combinato le loro marachelle e questo gli insegna a riconoscersi come individuo separato dal nucleo originario, apprendendo al contempo, che la sua esistenza fa parte di una catena generazionale, di una storia di storie, e ritrova nei nonni stessi, le radici senza le quali non potrebbe, nel tempo, spiccare il volo.
La coppia dei nonni offre anche un’alternativa allo stile educativo dei genitori, il tempo passato con loro diventa una zona franca in cui le regole mutano, diventano più concessive e divertenti.
La prima qualità che tradizionalmente viene associata ai nonni è la saggezza, che passa attraverso la pazienza. Il bambino può imparare tanto se i nonni trascorrono del tempo con lui, con tranquillità e senza fretta, svolgendo insieme un’attività che lo diverta e lo incuriosisca, come preparare un dolce, raccontare una storia, curare i fiori del giardino, occuparsi dell’orto. Si tratta spesso di esperienze e di conoscenze ormai superate dalla tecnologia e dalla vita più frenetica di oggi, che il bambino avrà poche possibilità di apprendere altrove.
Il fatto che i nonni siano diventati così importanti nella routine quotidiana ha permesso di consolidare i rapporti familiari, che però possono essere non sempre facili da gestire.
I nonni, a volte, tendono a invadere il ‘territorio’ dei genitori, convinti sulla base della loro maggiore esperienza di sapere cosa è meglio per i nipotini. Inoltre, il fatto che il loro aiuto sia fornito in modo del tutto libero e ‘gratuito’ può accrescere i problemi di ‘confine’. Per questo, è importante che tra gli adulti ci sia un buon dialogo e che si sappiano gestire eventuali disaccordi con buonsenso, per permettere al bambino di beneficiare al meglio del tempo trascorso con loro.
Possiamo stabilire delle regole d’oro che ci possono aiutare in questo:
1) Valutate fin da subito se i nonni ritengono una fortuna il doversi occupare del vostro cucciolo oppure se lo ritengono un impegno che sottrae tempo alla loro vita e attività sociale. Stabilisci da subito quanto tempo sono disposti eventualmente ad occuparsi di lui.
2) Dedicate un po’ di giorni ad una sorta di affiancamento con i nonni che si dovranno occupare del piccolo: li aiuterà a capire con quali principi intendete educarlo e a cosa fare piu attenzione.
3) Gli orari della pappa, della nanna e del gioco, vanno concordati, compatibilmente con gli impegni dei due nuclei familiari. Non è bene scombinare quello dei nonni, così come non dovete permettere che quello dei nonni crei disordine al vostro.
4) Succede che, dai nonni, i bambini più piccoli passino troppo tempo davanti alla tv e i più grandi ne approfittino per giocare ai videogiochi. Concorda con loro i tempi di esposizione, suggerendo giochi o letture alternative.
5) Concorda quali deroghe alle regole di comportamento sono tollerabili quando il bimbo è con loro.
6) Qualunque cosa non vi piace, non vi fa star bene ecc, parlatene con loro tranquillamente, sottolineando che riconoscete quanto loro fanno per voi e il vostro piccolo, ma che per voi sono importanti determinate cose che vi fanno stare più tranquille.
Ricordatevi inoltre che è importante essere disposte a creare dei compromessi e a fidarvi di loro: se il nostro piccolo è affidato per tante ore alla loro gestione, a parte le linee guida generali, dovete accettare che loro non sono voi e non possono fare esattamente le stesse cose che fareste o non voi. Il buon senso, la responsabilità e l’amore per il nipotino, devono essere quegli elementi che dovete tener presente per fidarvi di loro.
Ricordate inoltre che se vivete con astio, conflittualità, sfiducia, gelosia e  diffidenza il fatto di lasciare il vostro bimbo con loro, non farete altro che vivere amaramente voi questo periodo e trasmettere questa sensazione angosciosa e di disagio anche al vostro piccolo.
In questo caso, sarebbe meglio optare per una diversa soluzione.

martedì 3 dicembre 2013

I figli? Vanno elogiati ma con misura

articolo di Simona Regina, tratto da corriere.it

«Come sei brava!». «Che bel disegno». «Quanto sei intelligente!». «Sei davvero un campione». Alla lunga lodare i propri figli è un bene o un male? A chi sostiene che l’uso delle ricompense, tra cui la lode, possa essere una pratica educativa dannosa per i bambini, fa eco chi al contrario sottolinea che i più piccoli hanno bisogno dell’approvazione e dell’elogio degli adulti.
STOP ALLE LODI - Alfie Kohn, per esempio, educatore e autore di libri su pregi e difetti di diversi metodi educativi, mette in guardia genitori e insegnanti: a suo avviso la lode rischia di trasmettere ai bambini l’idea che siano amati solo quando si comportano in modo consono alle aspettative dei grandi. Sostiene inoltre che, alla lunga, la lode può minare la fiducia in se stessi e scalfire le motivazioni personali, perché il fare bene una cosa smette di essere un piacere e una soddisfazione di per sé, ma solo un modo per essere apprezzati dell’adulto, col rischio di innescare una sorta di dipendenza dall’approvazione di mamma, papà o dell’insegnante. Oltre a far sentire i più piccoli sempre sotto giudizio, tanto da renderli insicuri nell’esprimere le proprie idee e scoraggiarli nel mettersi alla prova, perché preoccupati di essere all’altezza della situazione.
NUTRIENTE ESSENZIALE - Di tutt’altro avviso è lo psicologo infantile Kenneth Barish, professore di psicologia al Weill Medical College della Cornell University. «A mio avviso - scrive su Psycology Today - il bisogno di un figlio di essere elogiato e ricevere l’approvazione da parte degli adulti non è una ricompensa “estrinseca”. Lo sono le paghette in denaro. Ma la lode, come un sorriso o uno sguardo di approvazione, è tutt’altra cosa. È un bisogno umano fondamentale e non è una “tecnica “ per allevare bambini obbedienti». Anche perché, secondo l’autore di Pride and Joy, in fondo nel corso di tutta la vita siamo interessati alle opinioni altrui, e quando abbiamo lavorato duro e fatto un buon lavoro ci fa piacere che gli altri riconoscano e apprezzino il nostro impegno. «La lode dunque non è una forma di controllo, ma un incoraggiamento». Per cui, in definitiva, perché privare i più piccoli del piacere di essere elogiati per quello che hanno fatto con passione e impegno? In fondo, che sia un disegno, un gioco o i compiti di scuola, quando sono orgogliosi e soddisfatti per quello che hanno fatto, i bambini ci guardano, vogliono coinvolgerci, suscitare il nostro interesse e ricevere la nostra approvazione. La lode, dunque, per Barish non è come lo zucchero, qualcosa che i bambini amano e desiderano ma che a lungo termine può essere nocivo per la loro salute. «È più come un nutriente essenziale. Non è certo l’unico o il più essenziale, ma ne abbiamo bisogno tutti, e in particolare i bambini: hanno bisogno di sapere che siamo orgogliosi di loro. E questa certezza è un prezioso sostegno emotivo».
MEGLIO ELOGIARE L’IMPEGNO - In definitiva, però, meglio elogiare l’impegno, lo sforzo con cui i piccoli di casa fanno un disegno, un puzzle, una costruzione più che il risultato o il loro talento, e lasciarsi coinvolgere dal loro entusiasmo, in modo che si sentano amati e non giudicati, perché «è questa l’attenzione di cui il vostro bambino ha bisogno» consiglia la psicologa Laura Markham. Del resto, dopo anni di ricerche, la psicologa di Stanford Carol Dweck suggerisce ai genitori di non elogiare i propri figli perché intelligenti, nella convinzione di accrescere la loro autostima. In questo modo, infatti - lo ha spiegato su Scientific American e lo ribadisce in un nuovo articolo pubblicato su Child Development - la lode rischia di essere controproducente: di renderli più fragili in caso di fallimenti, insicuri di fronte alle difficoltà e tendenzialmente restii a mettersi in gioco per migliorare i propri punti deboli. Perché lo sforzo è percepito come meno importante dell’essere intelligenti. Ma a scuola, come nella vita, ogni tipo di traguardo è una sfida e richiede impegno, quindi meglio elogiare i bambini per le qualità che possono controllare (come l’impegno appunto), affinché considerino le nuove sfide come opportunità per imparare e crescere, nella convinzione che si possa sempre migliorare.
SBAGLIANDO SI IMPARA - Insomma, le lodi servono in alcuni momenti, ma ci vuole misura nel complimentarsi con i propri figli per i piccoli o grandi successi quotidiani. «Uno, perché l’eccesso di lode alla lunga perde di significato. Due, per non espropriali del piacere di fare qualcosa puramente per il piacere di farlo, senza pensare di doverlo fare per appagare il proprio genitore. E infine, per non gonfiare in maniera eccessiva il loro io» precisa Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia dello sviluppo alla Sapienza di Roma. «Il bimbo o la bimba che si sente continuamente dire “come sei brava” o ”come sei intelligente”, può perdere il senso della realtà, pensare di riuscire sempre bene in tutto e potrebbe di conseguenza avere difficoltà ad accettare gli errori, da cui invece si impara molto». «Elogiare continuamente i propri figli, farlo fuori luogo, senza motivo, e allo stesso tempo pretendere sempre il massimo, può in effetti comportare una sollecitazione eccessiva con conseguente difficoltà a tollerare le frustrazioni connesse agli insuccessi che nella vita inevitabilmente arrivano» sostiene Giorgio Rossi, direttore della neuropsichiatria infantile dell’Ospedale del Ponte di Varese. «L’importante è essere rassicuranti, dare cure continue ed essere disponibili sul piano affettivo, in modo da offrire il sostegno di cui hanno bisogno».
ACCETTARE LE SCONFITTE - Anche secondo Sabrina Bonichini, professoressa di psicologia della salute del bambino all’Università di Padova, dietro troppi elogi c’è il rischio che i bambini non sappiano accettare le sconfitte, alimentando al contrario una fragilità narcisistica. «Gli elogi, dunque, sono importanti ma vanno motivati e devono essere specifici. È bene quindi sottolineare l’impegno che ha permesso di raggiungere la meta e non solo il risultato, perché altrimenti si rischia di demotivarli, attribuendo il successo a una caratteristica intrinseca, per esempio l’intelligenza, più che alla caparbietà e alla perseveranza». E la stessa cosa vale per i rimproveri: «devono essere mirati al comportamento e non sulla persona: quindi, per esempio, è meglio non dire al proprio figlio “sei cattivo”, ma “hai fatto una cosa sbagliata” e spiegargli il perché».