giovedì 19 dicembre 2013

Le letterina di Natale è anche un modo per crescere…


La letterina di Babbo Natale, un classico di questo periodo. Ci sono bambini che iniziano a Novembre a ritagliare immagini su cataloghi di giochi, fare l’elenco delle cose. La letterina diventa anche stimolo per la creatività quasi: che ci incolla le immagini, chi utilizza il pc, chi fa lista della spesa, chi scrive pagine e pagine di parole destinate a quel nonno con la barba bianca lunga e vestito di rosso. Insomma, una sicurezza e una tradizione certa. Per lo meno fino a qualche giorno fa: ho infatti letto sul Corriere un articolo in cui si dice che alcuni genitori ritengono che far mettere su carta le speranze (con in pole position le novità martellate senza tregua dalla tv) abbia un valore diseducativo e che, in tempi di crisi, sia importante (e necessario) non incentivare il consumismo. Ma questo è giusto o sbagliato?
L’articolo continua proponendo un’intervento che viene direttamente dall’Università Cattolica di Milano: Manuela Cantoia, docente della Spae, Servizio di Psicologia Apprendimento ed Educazione, : «Che errore abolirla. Non è vero che non abbia valore, semmai è proprio il contrario».La dottoressa Cantoia afferma infatti che la lettera insegna il valore dell’attesa, aiuta a coltivare i desideri e a compiere scelte, ma è chiaro che il bambino va guidato, a tutte le età.
Per far capire ai più piccoli questa attesa, dal momento che non hanno il senso del tempo, una bella idea è quella di evitare di proporla tanto tempo prima, ma aspettare che si avvicini il giorno di Natale e creargli un conto alla rovescia, un calendario dell’avvento che scandisca il tempo e che lo aiuti a capire che scopo ha fare la letterina.
Un altro punto importante citato dalla dottoressa è la lunghezza. «La lettera non è la lista della spesa dove si segnano tutte le cose che mancano in dispensa – sottolinea. – Uno, due, tre regali importanti, a seconda delle proprie possibilità, e poi una serie di piccole richieste». La dottoressa aggiunge che la lettera non va necessariamente chiusa subito: a volte c’è proprio bisogno di tempo per riflettere sulle scelte, far emergere i desideri, le priorità. Può quindi rimanere appesa al frigorifero anche per giorni e modificata seguendo i nuovi impulsi. «E, una volta spedita inizia il tempo dell’attesa: è una tappa importante, forse la prima vera occasione per imparare ad attendere».
E voi che ne pensate? Com’è la letterina dei vostri figli?

martedì 17 dicembre 2013

Giovani miopi in aumento con l’«occhio» da videogame



di Mario Pappagallo, corriere.it

Un bambino su 5 è oggi miope, nel 2025 lo sarà uno su due. Il doppio. Effetto generazione web dipendente. Effetto genitori disattenti, che preferiscono figli silenziosi davanti alla tv o a un videogioco all’impegno di portarli a giocare in un parco. Per esempio a pallone, che esercita la visione da lontano mentre si è all’aria aperta. Inutile avere 10 decimi se si cresce guardando soltanto poco oltre la punta del naso, incollati a un pc, a un tablet, a uno smartphone. O comunque con un panorama limitato dalle mura domestiche. 
È quanto emerso da uno studio su 11mila alunni pubblicato su una rivista scientifica di settore. La poca luce naturale e la troppa di colore blu (led) sono la causa dell’evoluzione verso l’Homo miopens. Con l’«occhio» da videogame. Il rischio è una generazione, la prossima, complessata dagli antiestetici occhiali.
SCHERMI PER TUTTI - La miopia colpisce oggi più di una persona su 3 (35% circa) in Europa, contro il 20% degli Anni 70 e il 10% degli Anni 30. Soltanto in Italia il problema riguarda al momento 12 milioni di persone, ma il trend è in continua crescita. «E non basta - dice Antonio Scialdone, direttore dell’Oftalmico-Fatebenefratelli di Milano -, il miglioramento delle tecniche di diagnosi a spiegare la crescita esponenziale». Si è visto che l’aumento dei miopi è comune denominatore di «tutti i Paesi in cui ha preso piede l’utilizzo massiccio delle nuove tecnologie». Quando uno schermo, più o meno grande, diventa un compagno di vita - e sempre più spesso anche di scuola, grazie alla rivoluzione delle classi «senza carta» -, se non si usano prudenza e buon senso, è la salute degli occhi a farne le spese. Con un rischio tanto maggiore quanto più prolungato è l’impiego dei dispositivi digitali: il 14% degli «adepti» arriva a totalizzare 10-12 ore di utilizzo, mentre il 30% resta connesso per 6 ore (datiThe Vision Council del 2012). In media, gli italiani trascorrono più di 4 ore al giorno davanti alla tv e a minischermi hi-tech (pc, tv digitali, smartphone, tablet). E i bambini, a causa dei videogame, superano anche le 4 ore.
EFFETTO LUCE BLU - Il risultato - spiega Lucio Buratto, chirurgo oculista milanese (Centro Ambrosiano Oftalmico) e presidente del 35° Congresso internazionale di chirurgia della cataratta e rifrattiva - è che «si costringono gli occhi a una messa a fuoco da vicino molto prolungata nel tempo, disabituandoli alla vista da lontano». C’è poi l’effetto luce blu, tipica dei led, che stressa la retina per la sfocatura e la riduzione del contrasto. Ma, soprattutto, sembra deleteria la mancanza di luce naturale e di vita all’aria aperta che abitua a guardare lontano. Due studi hanno dimostrato che, a parte la predisposizione genetica, ambiente e stili di vita hanno un’influenza prevalente. Ecco le conclusioni di ricercatori cinesi (Taiwan) e danesi, riportate dalla rivista internazionale Ophthalmology: se i bambini stanno più tempo all’aperto si riduce il rischio di miopia perché la dopamina, un neurotrasmettitore prodotto nella retina proprio sotto l’effetto della luce naturale, gioca un ruolo cruciale nella trasmissione delle immagini al cervello, e sembra anche che sia in grado di evitare la crescita eccessiva dell’occhio dalla nascita ai 25 anni.
ALL’ARIA APERTA - «Crescita eccessiva - continua Buratto - che porta al cosiddetto “occhio troppo lungo” che è poi la lunghezza assiale tipica dell’occhio del miope». Lo studio di Taiwan è stato condotto su 11mila bambini, tra i 7 e gli 11 anni, di due scuole diverse. In una gli alunni godevano di numerosi intervalli all’aria aperta, nell’altra (gruppo di controllo) era proibito uscire. Dopo un anno, solo l’8,4% dei bambini che godevano di pause all’aria aperta ha sviluppato miopia contro il 17,6% dei segregati in classe. Oltre il doppio. Numeri confermati dopo un altro anno. Stessi risultati dallo studio danese e da uno precedente effettuato in Australia. Le conclusioni: tornare all’aria aperta, soprattutto nell’età dello sviluppo, e leggere libri e giornali su carta come sano allenamento a una giusta messa a fuoco in condizioni di luce naturale. 

martedì 10 dicembre 2013

Bimbi sani bevendo latte… ma non solo di mucca!


Quanti bimbi non bevono il latte al mattino? Tanti, tantissimi. Chi è allergico al lattosio, chi non ama il gusto del latte vaccino. E quante sono le mamme preoccupate? Praticamente tutte quelle che non credono in una colazione alternativa.
Il latte di mucca è un cibo importante, ma non fondamentale. Se al bambino non piace la bianca e nutriente bevanda, o se non può berla perchè è intollerante al lattosio, esistono delle alternative naturali: il latte vegetale, estratto da cereali, legumi e frutta secca: soia, mandorle, avena, riso e kamut.
Sono alimenti completi e, come vantaggio, non presentano le controindicazioni del latte di origine animale, essendo privi di colesterolo, lattosio, caseina, proteine e grassi animali, tutte sostanze che favoriscono l’obesità infantile.
Si possono quindi consumare tranquillamente in tutti i casi di intolleranze e allergie.
Inoltre, apportano vitamine, fibre, sali minerali e acidi grassi insaturi (in particolare Omega 3), utili a proteggere la circolazione e a difendere l’organismo dai radicali liberi.

Le mamme spesso temono che senza il latte vaccino al bambino venga a mancare il calcio, importante per la crescita. Ma non è l’unico alimento che ne contenga, anzi, nel latte di mucca ci sono sostanze che ne rallentano l’assimilazione. Perché il calcio sia assorbito dall’intestino e contribuisca alla formazione del tessuto osseo, è fondamentale la vitamina D, che si ricava dall’esposizione al sole.
È importante, quindi, che i bambini stiano all’aperto.
QUANTI TIPI CI SONO DI LATTE VEGETALE?
Latte di soia, ricco di proteine rassodantiÈ quello di più antica tradizione ed è anche il latte vegetale il cui contenuto proteico è molto simile (in quantità e qualità) a quello del latte vaccino. La composizione in aminoacidi essenziali di queste proteine è molto vicina a quella delle proteine di origine animale. Si tratta quindi di un alimento interessante per chi deve adottare una dieta con ridotto apporto di alimenti animali e, nel contempo, voglia consumare proteine di ottima qualità.
La maggior parte dei grassi del latte di soia sono di tipo insaturo e svolgono un importante ruolo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e nella riduzione dei processi infiammatori cronici. Il colesterolo è completamente assente e questo conferma l’utilità del latte di soia nell’alimentazione di chi è predisposto all’arteriosclerosi e al diabete. Nel latte di soia, infine, è particolarmente interessante il contenuto di ferro (40 mg/l), quattro volte superiore a quello reperibile nel latte vaccino. Si trovano in commercio preparazioni addizionate con calcio.
Latte di kamut, è povero di grassi e nutre la memoria
Questo latte contiene acqua e kamut, una varietà di grano duro di origine antichissima. Come il grano da cui è ottenuto, è povero di grassi e ricco di carboidrati e sali minerali, in particolare di magnesio e fosforo; è indicato quindi nei periodi di stress, convalescenza e di preparazione agli esami.
Latte d’avena, regola l’appetito
Questo alimento deriva da un procedimento simile a quello con il quale si produce il latte di riso. Gli ingredienti dei più diffusi prodotti in commercio sono acqua, 10 per cento di avena integrale e olio di girasole spremuto a freddo. È un ottimo sostituto del latte e può essere consumato al naturale o usato in cucina per la preparazione di piatti dolci e salati. Non contiene lattosio e colesterolo e per questo (considerando anche che l’avena è un cereale in grado di abbassare il livello di colesterolo-Ldl) è un alimento indicato soprattutto per chi è predisposto all’arteriosclerosi e alle patologie cardiovascolari.
Latte di riso, nutre e sgonfia
Lo si ricava industrialmente dal riso integrale con un procedimento di maltizzazione (iniziale germinazione del cereale che, in pratica, avvia una parziale digestione dell’amido contenuto nel chicco) e la successiva cottura. Segue poi una opportuna filtrazione per permettere l’allontanamento delle scorie e ottenere un liquido bianco e molto dolce con caratteristiche molto interessanti. Per migliorarne le proprietà nutrizionali, nei prodotti in commercio è anche aggiunta una piccola quantità di olio vegetale. Le caratteristiche di questo alimento, a differenza del latte di soia appena descritto, sono compatibili anche con le caratteristiche digestive e nutrizionali del lattante. Il latte di riso può quindi essere impiegato nell’alimentazione dei più piccoli (ma solo come integrazione o in parziale sostituzione del latte materno o del latte adattato) a partire, se necessario, anche dal primo mese di vita. La sua elevata digeribilità lo rende adatto non solo per l’alimentazione dei bambini, ma anche degli adulti, specialmente nei casi di infiammazione dell’apparato digerente (colite, colite ulcerosa, morbo di Crohn, ecc.).
Latte di mandorla
Ecco un altro alimento dal gusto delizioso (probabilmente il migliore in assoluto) e di lunghissima tradizione, specialmente nelle nostre regioni meridionali. Pur non potendo sostituire integralmente i prodotti specifici per i bambini di età inferiore ai 12 mesi, può essere molto utile per arricchire l’alimentazione del lattante nutrito con latte adattato e anche dopo lo svezzamento. Il latte di mandorle è ricco di acidi grassi polinsaturi, di sostanze antiossidanti, estremamente utili per la prevenzione cardiovascolare. Da notare anche il buon contenuto di calcio, magnesio, fibre e vitamina E.

giovedì 5 dicembre 2013

Lasciare i bambini ai nonni oppure no?


Lasciare i bambini ai nonni oppure no?
La scelta sembra scontata. Invece non è affatto semplice. I nonni sono una risorsa importante, fondamentale.
Ma se il loro modo di fare, i loro principi, le loro regole sono diverse dalle nostre, come ci dobbiamo comportare noi genitori?
Ad esempio, se chiediamo loro di fare alcune cose in una certa maniera e poi quando torniamo ci accorgiamo che nulla di quanto avevamo chiesto è stato fatto, che si fa?
Risponde la dottoressa Francesca Santarelli, psicologa dell'infanzia.
Si sa, l’argomento “nonni” è sempre una tematica che fa discutere e che, quasi in tutte le famiglie, si attiva dal momento stesso in cui si annuncia l’arrivo del piccolo erede! Non ne parliamo di cosa accade quando il cucciolo è poi nato, i primi momenti in cui tutto è concentrato sul nuovo arrivato, la questione dei ruoli da definire subito e della possibilità (o scelta obbligata) di affidarlo a loro mentre si va a lavorare.
Se in più ci aggiungiamo controversie antiche che ci appartengono come figli e conflitti non risolti con le rispettive e altrui famiglie di origine, il quadro si complica non poco e spesso va ad incidere non solo sulla gestione/educazione del bambino, ma anche sulla stessa qualità della vita di coppia.
Che ci piaccia o no, il ruolo che i nonni svolgono nell’accudimento dei piccoli è molto importante, sono figure che comunicano affetto e tenerezza, trasmettono un senso di continuità e insegnano l’arte del tempo che passa, una  storia che congiunge il passato, il presente e il futuro.
I nonni aiutano a far capire al bimbo che anche i suoi genitori sono stati bambini e hanno combinato le loro marachelle e questo gli insegna a riconoscersi come individuo separato dal nucleo originario, apprendendo al contempo, che la sua esistenza fa parte di una catena generazionale, di una storia di storie, e ritrova nei nonni stessi, le radici senza le quali non potrebbe, nel tempo, spiccare il volo.
La coppia dei nonni offre anche un’alternativa allo stile educativo dei genitori, il tempo passato con loro diventa una zona franca in cui le regole mutano, diventano più concessive e divertenti.
La prima qualità che tradizionalmente viene associata ai nonni è la saggezza, che passa attraverso la pazienza. Il bambino può imparare tanto se i nonni trascorrono del tempo con lui, con tranquillità e senza fretta, svolgendo insieme un’attività che lo diverta e lo incuriosisca, come preparare un dolce, raccontare una storia, curare i fiori del giardino, occuparsi dell’orto. Si tratta spesso di esperienze e di conoscenze ormai superate dalla tecnologia e dalla vita più frenetica di oggi, che il bambino avrà poche possibilità di apprendere altrove.
Il fatto che i nonni siano diventati così importanti nella routine quotidiana ha permesso di consolidare i rapporti familiari, che però possono essere non sempre facili da gestire.
I nonni, a volte, tendono a invadere il ‘territorio’ dei genitori, convinti sulla base della loro maggiore esperienza di sapere cosa è meglio per i nipotini. Inoltre, il fatto che il loro aiuto sia fornito in modo del tutto libero e ‘gratuito’ può accrescere i problemi di ‘confine’. Per questo, è importante che tra gli adulti ci sia un buon dialogo e che si sappiano gestire eventuali disaccordi con buonsenso, per permettere al bambino di beneficiare al meglio del tempo trascorso con loro.
Possiamo stabilire delle regole d’oro che ci possono aiutare in questo:
1) Valutate fin da subito se i nonni ritengono una fortuna il doversi occupare del vostro cucciolo oppure se lo ritengono un impegno che sottrae tempo alla loro vita e attività sociale. Stabilisci da subito quanto tempo sono disposti eventualmente ad occuparsi di lui.
2) Dedicate un po’ di giorni ad una sorta di affiancamento con i nonni che si dovranno occupare del piccolo: li aiuterà a capire con quali principi intendete educarlo e a cosa fare piu attenzione.
3) Gli orari della pappa, della nanna e del gioco, vanno concordati, compatibilmente con gli impegni dei due nuclei familiari. Non è bene scombinare quello dei nonni, così come non dovete permettere che quello dei nonni crei disordine al vostro.
4) Succede che, dai nonni, i bambini più piccoli passino troppo tempo davanti alla tv e i più grandi ne approfittino per giocare ai videogiochi. Concorda con loro i tempi di esposizione, suggerendo giochi o letture alternative.
5) Concorda quali deroghe alle regole di comportamento sono tollerabili quando il bimbo è con loro.
6) Qualunque cosa non vi piace, non vi fa star bene ecc, parlatene con loro tranquillamente, sottolineando che riconoscete quanto loro fanno per voi e il vostro piccolo, ma che per voi sono importanti determinate cose che vi fanno stare più tranquille.
Ricordatevi inoltre che è importante essere disposte a creare dei compromessi e a fidarvi di loro: se il nostro piccolo è affidato per tante ore alla loro gestione, a parte le linee guida generali, dovete accettare che loro non sono voi e non possono fare esattamente le stesse cose che fareste o non voi. Il buon senso, la responsabilità e l’amore per il nipotino, devono essere quegli elementi che dovete tener presente per fidarvi di loro.
Ricordate inoltre che se vivete con astio, conflittualità, sfiducia, gelosia e  diffidenza il fatto di lasciare il vostro bimbo con loro, non farete altro che vivere amaramente voi questo periodo e trasmettere questa sensazione angosciosa e di disagio anche al vostro piccolo.
In questo caso, sarebbe meglio optare per una diversa soluzione.

martedì 3 dicembre 2013

I figli? Vanno elogiati ma con misura

articolo di Simona Regina, tratto da corriere.it

«Come sei brava!». «Che bel disegno». «Quanto sei intelligente!». «Sei davvero un campione». Alla lunga lodare i propri figli è un bene o un male? A chi sostiene che l’uso delle ricompense, tra cui la lode, possa essere una pratica educativa dannosa per i bambini, fa eco chi al contrario sottolinea che i più piccoli hanno bisogno dell’approvazione e dell’elogio degli adulti.
STOP ALLE LODI - Alfie Kohn, per esempio, educatore e autore di libri su pregi e difetti di diversi metodi educativi, mette in guardia genitori e insegnanti: a suo avviso la lode rischia di trasmettere ai bambini l’idea che siano amati solo quando si comportano in modo consono alle aspettative dei grandi. Sostiene inoltre che, alla lunga, la lode può minare la fiducia in se stessi e scalfire le motivazioni personali, perché il fare bene una cosa smette di essere un piacere e una soddisfazione di per sé, ma solo un modo per essere apprezzati dell’adulto, col rischio di innescare una sorta di dipendenza dall’approvazione di mamma, papà o dell’insegnante. Oltre a far sentire i più piccoli sempre sotto giudizio, tanto da renderli insicuri nell’esprimere le proprie idee e scoraggiarli nel mettersi alla prova, perché preoccupati di essere all’altezza della situazione.
NUTRIENTE ESSENZIALE - Di tutt’altro avviso è lo psicologo infantile Kenneth Barish, professore di psicologia al Weill Medical College della Cornell University. «A mio avviso - scrive su Psycology Today - il bisogno di un figlio di essere elogiato e ricevere l’approvazione da parte degli adulti non è una ricompensa “estrinseca”. Lo sono le paghette in denaro. Ma la lode, come un sorriso o uno sguardo di approvazione, è tutt’altra cosa. È un bisogno umano fondamentale e non è una “tecnica “ per allevare bambini obbedienti». Anche perché, secondo l’autore di Pride and Joy, in fondo nel corso di tutta la vita siamo interessati alle opinioni altrui, e quando abbiamo lavorato duro e fatto un buon lavoro ci fa piacere che gli altri riconoscano e apprezzino il nostro impegno. «La lode dunque non è una forma di controllo, ma un incoraggiamento». Per cui, in definitiva, perché privare i più piccoli del piacere di essere elogiati per quello che hanno fatto con passione e impegno? In fondo, che sia un disegno, un gioco o i compiti di scuola, quando sono orgogliosi e soddisfatti per quello che hanno fatto, i bambini ci guardano, vogliono coinvolgerci, suscitare il nostro interesse e ricevere la nostra approvazione. La lode, dunque, per Barish non è come lo zucchero, qualcosa che i bambini amano e desiderano ma che a lungo termine può essere nocivo per la loro salute. «È più come un nutriente essenziale. Non è certo l’unico o il più essenziale, ma ne abbiamo bisogno tutti, e in particolare i bambini: hanno bisogno di sapere che siamo orgogliosi di loro. E questa certezza è un prezioso sostegno emotivo».
MEGLIO ELOGIARE L’IMPEGNO - In definitiva, però, meglio elogiare l’impegno, lo sforzo con cui i piccoli di casa fanno un disegno, un puzzle, una costruzione più che il risultato o il loro talento, e lasciarsi coinvolgere dal loro entusiasmo, in modo che si sentano amati e non giudicati, perché «è questa l’attenzione di cui il vostro bambino ha bisogno» consiglia la psicologa Laura Markham. Del resto, dopo anni di ricerche, la psicologa di Stanford Carol Dweck suggerisce ai genitori di non elogiare i propri figli perché intelligenti, nella convinzione di accrescere la loro autostima. In questo modo, infatti - lo ha spiegato su Scientific American e lo ribadisce in un nuovo articolo pubblicato su Child Development - la lode rischia di essere controproducente: di renderli più fragili in caso di fallimenti, insicuri di fronte alle difficoltà e tendenzialmente restii a mettersi in gioco per migliorare i propri punti deboli. Perché lo sforzo è percepito come meno importante dell’essere intelligenti. Ma a scuola, come nella vita, ogni tipo di traguardo è una sfida e richiede impegno, quindi meglio elogiare i bambini per le qualità che possono controllare (come l’impegno appunto), affinché considerino le nuove sfide come opportunità per imparare e crescere, nella convinzione che si possa sempre migliorare.
SBAGLIANDO SI IMPARA - Insomma, le lodi servono in alcuni momenti, ma ci vuole misura nel complimentarsi con i propri figli per i piccoli o grandi successi quotidiani. «Uno, perché l’eccesso di lode alla lunga perde di significato. Due, per non espropriali del piacere di fare qualcosa puramente per il piacere di farlo, senza pensare di doverlo fare per appagare il proprio genitore. E infine, per non gonfiare in maniera eccessiva il loro io» precisa Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia dello sviluppo alla Sapienza di Roma. «Il bimbo o la bimba che si sente continuamente dire “come sei brava” o ”come sei intelligente”, può perdere il senso della realtà, pensare di riuscire sempre bene in tutto e potrebbe di conseguenza avere difficoltà ad accettare gli errori, da cui invece si impara molto». «Elogiare continuamente i propri figli, farlo fuori luogo, senza motivo, e allo stesso tempo pretendere sempre il massimo, può in effetti comportare una sollecitazione eccessiva con conseguente difficoltà a tollerare le frustrazioni connesse agli insuccessi che nella vita inevitabilmente arrivano» sostiene Giorgio Rossi, direttore della neuropsichiatria infantile dell’Ospedale del Ponte di Varese. «L’importante è essere rassicuranti, dare cure continue ed essere disponibili sul piano affettivo, in modo da offrire il sostegno di cui hanno bisogno».
ACCETTARE LE SCONFITTE - Anche secondo Sabrina Bonichini, professoressa di psicologia della salute del bambino all’Università di Padova, dietro troppi elogi c’è il rischio che i bambini non sappiano accettare le sconfitte, alimentando al contrario una fragilità narcisistica. «Gli elogi, dunque, sono importanti ma vanno motivati e devono essere specifici. È bene quindi sottolineare l’impegno che ha permesso di raggiungere la meta e non solo il risultato, perché altrimenti si rischia di demotivarli, attribuendo il successo a una caratteristica intrinseca, per esempio l’intelligenza, più che alla caparbietà e alla perseveranza». E la stessa cosa vale per i rimproveri: «devono essere mirati al comportamento e non sulla persona: quindi, per esempio, è meglio non dire al proprio figlio “sei cattivo”, ma “hai fatto una cosa sbagliata” e spiegargli il perché».

giovedì 28 novembre 2013

I libri sviluppano il cervello

di Stella Tortora
Ma è vero che i genitori di bambini piccoli giocano un ruolo importante nella fase cruciale dello sviluppo del cervello? E, quello che succede nell’ambiente domestico di un bambino dell’età di 4 anni, può anni dopo, far vedere il suo livello di intelligenza?
Sì. Secondo una nuova ricerca presentata in occasione della riunione annuale della Society for Neuroscience, il “periodo sensibile” per lo sviluppo del cervello di un bambino è intorno ai 4 anni. Invece, le parti dedicate al linguaggio e alla conoscenza, si sviluppano nei 10 anni successivi.
Lo studio, condotto da un team di scienziati dell’Università della Pennsylvania, guidati dalla neuropsichiatra Martha Farah, ha dimostrato come l’ambiente sociale in cui vive un bambino è fondamentale nel determinare, in fase di crescita, lo sviluppo del suo potenziale intellettivo.
La ricerca ha preso in considerazione un gruppo di 64 bambini statunitensi intorno ai 4 anni di età, metà dei quali proveniente da famiglie di bassa estrazione sociale e l’altra metà da famiglie di media condizione.
Due, le volte, in cui i ricercatori hanno fatto visita nelle loro case, una volta a 4 anni e l’altra a 8 anni. Durante queste visite, gli psicologi, hanno annotato quanti libri e quanti giochi educativi erano presenti nelle case e, quanto i genitori si occupassero di stimolare i bambini a livello intellettivo.
In queste occasioni, ai bambini erano assegnati alcuni compiti che potessero attivare tutte le aree del cervello per esaminare la percezione spaziale e le capacità esecutive: ovvero la capacità di porsi obiettivi, di pianificare azioni e controllare gli impulsi. I bambini del gruppo più agiato rispondevano con risultati migliori rispetto a quelli di bassa estrazione sociale, soprattutto nella capacità del linguaggio e delle funzioni esecutive.
Alla fine dello studio, all’età di 18 anni circa, i bambini ormai grandi, sono stati sottoposti a una risonanza magnetica del cervello. E, confrontando i risulatati degli appartenenti ai due gruppi, gli studiosi hanno confermato che il fattore chiave di un maggiore sviluppo della corteccia cerebrale (lo strato di materia grigia all'esterno del cervello -sottile struttura- specializzata nel selezionare, confrontare, organizzare ed elaborare le informazioni in arrivo, catalogandole come immagini, pensieri, emozioni, e immagazzinandole come ricordi) apparteneva al gruppo che durante l’infanzia era stato più stimolato.
Rilevando quanto lo sviluppo cerebrale del bambino fosse fortemente influenzato dalla condizione socio-economica della sua famiglia, così come dal benessere e dall’istruzione dei genitori; infatti, una scarsa stimolazione dovuta a fattori di disagio sociale ed economico, influiscono negativamente soprattutto sul linguaggio e la memoria.
Ma cosa significa tutto questo? Che la prima infanzia è un periodo delicato per stimolare il cervello e, è un’opportunità cercare di creare tanti stimoli per uno sviluppo cerebrale a lungo termine. Infatti, i libri aiutano a sviluppare l’intelligenza a prescindere dal livello culturale dei genitori.

martedì 26 novembre 2013

Inserimento al nido, conforto fra le mamme

di Daniela Campomagnani

L’asilo nido rappresenta nella vita del nostro bambino un grosso cambiamento, spesso dettato dalle esigenze familiari ma a volte anche scelto con la convinzione che sia un’esperienza di crescita positiva. E come ogni cambiamento nella vita del nostro bambino, anche l’inserimento all’asilo nido deve avvenire con gradualità e in un ambiente che lo faccia sentire a suo agio, permettendo giorno dopo giorno un sereno distacco dal genitore.

Spesso le mamme ignorano che l’inserimento sia un momento importante e delicato anche per loro stesse, perché il distacco dal proprio bimbo è quasi in tutti i casi accompagnato da una serie di emozioni contrastanti: da un lato c’è la consapevolezza che lì riceverà tutte le attenzioni e le cure che merita, che imparerà rapidamente tante cose nuove, che si divertirà, ma da un altro lato si teme che questa scelta, dettata dalla necessità, influisca negativamente su di lui, sul suo legame con i genitori e, di conseguenza, prevalgono i sensi di colpa

E nonostante tutto le mamme cercano di sorridere e mostrarsi entusiaste quando dentro di loro prendono luogo un’infinità di dubbi e paure, angosce di ogni tipo. Chi più e chi meno, chi prima e chi dopo qualche giorno, ogni mamma sente una miriade di sensazioni ed emozioni spesso difficili da capire.

L’inserimento al nido solitamente avviene con più bambini accompagnati dalle loro mamme e spesso questo momento risulta prezioso per molte di loro, specialmente quelle alle prime armi e molto in dubbio sul da farsi, se continuare con l’inserimento o rinunciare. Ed è qui che l’incoraggiamento a insistere, i racconti delle esperienze reciproche, i consigli e i legami che si instaurano nel parlare con le altre mamme sono per le più giovani parte fondamentale dell’inserimento; sono proprio loro, infatti, che più di tutte hanno bisogno di confrontarsi, di ricevere conferme che quello che si sta facendo è la scelta migliore per se stesse e il proprio bambino. Inoltre affrontare i pianti isterici del bambino che non vuole e non accetta il distacco con altre mamme che stanno vivendo o hanno vissuto in passato le stesse esperienze ed emozioni, porta inevitabilmente nella giovane mamma una sensazione di conforto. 

Sembra un’assurdità ma molto spesso l‘andamento dell’inserimento dipende molto dallo stato d’animo della mamma. Il bambino, infatti, percepisce tutti i suoi umori, i quali sono in grado di influenzare la sua serenità. Per questo è consigliabile mostrarsi contente e piene d’entusiasmo per questa nuova esperienza della sua crescita, anche se dentro di noi non è affatto così. Dare fiducia al bambino significa essere certe che è in grado di superare un momento difficile e di grosso cambiamento. Pur sapendo che sta soffrendo dobbiamo essere in grado di offrirgli tutto il nostro sostegno senza però cedere ad ogni suo capriccio. 

Ed è proprio in questi momenti difficili che sentirsi supportate da altre mamme che hanno già vissuto la stessa esperienza è fondamentale per permetterci di affrontare la situazione nel migliore dei modi sentendoci più sicure di noi stesse.
I bambini, solitamente, soprattutto quelli più grandicelli, vivono come un momento di crisi il passaggio dalla rassicurante situazione domestica a quella estranea di un ambiente totalmente nuovo con persone mai viste prima. Ma dopo un comprensibile momento iniziale di smarrimento, se il bambino si sentirà “al sicuro”, anche grazie alla serenità della mamma, tutte le paure di entrambi svaniranno.

sabato 23 novembre 2013

Albero di Natale, il decalogo per renderlo sicuro per i bimbi

di Concetta Desando
Manca poco a Natale, e manca ancora meno al tradizionale montaggio dell'albero. Che, però, può essere anche un pericolo, soprattutto se in casa ci sono bambini piccoli: lucine, candele, palline colorate, addobbi che sembrano biscotti o caramelle... tutto ciò che è appeso all'albero, agli occhi di un bambino, è un oggetto che sembra essere stato messo lì apposta per essere preso, e magari anche infilato in bocca. E, tirando gli addobbi, c'è anche il rischio che l'albero si sbilanci e cada addosso al piccino.
Pericoli che possono essere evitati con alcuni semplici accorgimenti: ecco dunque il decalogo per preparare un albero di Natale sicuro, con diversi spunti tratti dai consigli dei vigili del fuoco. 
  1. Appesantire la base per evitare che l’albero cada. Se si tratta di un albero finto, quando lo montate cercate di appesantirne il più possibile la base: alcuni sono dotati di un vaso (nel quale infilare il fusto) che può essere riempito di pesi per stabilizzarlo; per altri, che dispongono solo di un treppiede, l’operazione è più difficile ma non impossibile (ad esempio il treppiede può essere infilato in uno scatolone, da riempire poi di libri). Se l’albero è vero, invece, la base è già abbastanza stabile, ma dovete assicurarvi per il bambino non venga attratto come una calamita dalla terra contenuta nel vaso.
  2. La sicurezza in cima. Un altro accorgimento utile per evitare che l’albero cada è quello di legarne la cima con lo spago a un mobile vicino (che dev’essere pesante, per evitare che cada anch’esso): in questo modo diventa molto più difficile ribaltarlo.
  3. No alle palline in vetro. Sono sicuramente più belle, più artistiche, più romantiche, ma le decorazioni in vetro, quando in casa c’è un bambino, sono assolutamente vietate. Perché, se l’albero si ribalta, o anche solo se il piccolo riesce a raggiungerne una e a staccarla, il pericolo che vada in frantumi e che lo ferisca è molto alto. Meglio, quindi, optare per decorazioni in plastica, accertandosi che non abbiano parti acuminate o bordi taglienti.
  4. Candeline vietate. Anche queste decorazioni, come le palline in vetro, sono tra le più classiche per l’albero di Natale, e quando vengono accese contribuiscono come nient’altro all’atmosfera natalizia. Ma fuoco e bambini non vanno d’accordo (così come fuoco e alberi in materiale plastico), quindi meglio evitarle. Anche se si lasciano spente, perché i più piccoli possono scambiarle per dolci e tentare di mangiarle.
  5. Luci a norma. Le lucine colorate sono senza dubbio uno degli ingredienti che contribuiscono a creare l’atmosfera. Ma, come tutti gli apparecchi elettrici, non sono prive di rischi, per cui (oltre a posizionarle in punti non accessibili al bambino) bisogna accertarsi che siano a norma. Ricordatevi, poi, di spegnere sempre le luci prima di uscire di casa o di andare a dormire.
  6. Prese fuori portata. Una volta montate le luci, bisogna fare particolare attenzione a eventuali fili, prolunghe, prese “volanti”, ciabatte elettriche utilizzati per collegare l’illuminazione alla presa di corrente: tutte vanno posizionate in modo che non siano assolutamente raggiungibili dal bambino.
  7. Attenzione ai nastri. I festoni rappresentano un potenziale pericolo: così morbidi e coloratissimi, per i bambini la tentazione di prenderli dall’albero e avvolgerseli attorno al collo a mo’ di sciarpa può essere forte, con un evidente rischio di soffocamento. Per decorare l’albero, dunque, è meglio usare nastri e nastrini, ma non più lunghi di 15 centimetri in modo che non possano essere avvolti attorno al collo.
  8. La posizione è importante. L’albero, vero o artificiale che sia, naturalmente non va mai posizionato vicino a una fonte di calore come possono essere una stufa o un caminetto, per scongiurare il rischio d’incendio. Per lo stesso motivo l’albero va posizionato lontano da oggetti infiammabili quali tende o mobili imbottiti. Per gli alberi finti, inoltre, bisogna accertarsi che siano in materiale non infiammabile.
  9. Irraggiungibile. Il modo più sicuro per proteggere albero e bambino in un colpo solo è comunque quello di rendere l’abete irraggiungibile, posizionandovi intorno una barriera. Può essere una “recinzione” di quelle utilizzate per delimitare l’area gioco dei bimbi, può essere un divano, può essere un “muro” di pacchi e pacchetti con i doni di Natale… l’importante è che il bambino, stendendo le braccia, non arrivi ai rami. Certo, coprendo l’albero sparisce un po’ di magia; ma a mali estremi, estremi rimedi.
  10. Un albero “speciale”. L’ultimo consiglio è in realtà un trucco: per distogliere l’attenzione del bambino dall’albero di Natale, se ne può creare un secondo “su misura” per lui: un piccolo alberello di pochi centimetri da decorare con pupazzetti, biscotti, peluche… e da lasciare a disposizione del piccino affinché, quando vuole, possa giocare liberamente con quello e non con quello “vero” che resterà invece vietato.
Infine, oltre ai consigli per l’albero di Natale, uno importante riguarda un’altra pianta che addobba le nostre case durante le feste: la Stella di Natale (Euphorbia pulcherrima). Il suo lattice, infatti, è fortemente urticante per la pelle e le mucose, in particolare quelle dei bambini, ed è tossico se ingerito. Questa bellissima pianta, dunque, non va tenuta alla portata dei piccoli.

giovedì 21 novembre 2013

Bambini al nido fin da piccoli? Sì, grazie

di Margherita Fronte, tratto da corriere.it

È il dubbio di tutte le mamme: iscrivere il figlio al nido oppure tenerlo in casa, affidandolo magari ai nonni o a una baby sitter? Anche i pediatri sono divisi, ma da qualche tempo gli studi stanno convergendo su un’unica risposta, che si può riassumere così: i bambini che iniziano ad andare all’asilo già nel primo anno di vita crescono più sani.
IL CONGRESSO - A tirare le somme delle ricerche disponibili sono stati gli esperti riuniti al Congresso delle società europee di pediatria, che si è tenuto di recente a Glasgow (Regno Unito). Ne è emerso che la frequenza precoce al nido fa diminuire in modo considerevole le probabilità di contrarre le più importanti malattie dell’infanzia. Per il tumore pediatrico più diffuso, la leucemia linfoblastica acuta, il rischio si riduce di circa un terzo e alcuni studi hanno trovato un effetto analogo anche per altri tumori. Un beneficio ancora maggiore è stato poi riscontrato per l’asma - che colpisce ormai quasi un bambino su tre fra i 6 e i 14 anni - il cui rischio arriva a dimezzarsi se i piccoli vanno al nido prima di aver compiuto un anno. Vantaggi sono infine stati osservati anche per il diabete di tipo 1 (con una riduzione dell’incidenza del 30-40 per cento) e per l’obesità, anche se in quest’ultimo caso gli studi sono ancora pochi e il dato va confermato.
SISTEMA IMMUNITARIO - Alla base del fenomeno c’è certamente il contatto precoce del sistema immunitario con gli agenti infettivi che circolano copiosamente fra i piccoli: i raffreddori, la febbre, la tosse e gli starnuti così ricorrenti durante i primi mesi di vita comunitaria hanno insomma un lato buono. E tuttavia, «sui meccanismi precisi di questa immunoregolazione indotta dall’esposizione alle infezioni c’è ancora ampio dibattito, e ipotesi anche molto lontane fra loro» spiega Giorgio Tamburlini, presidente del Centro per la salute del bambino di Trieste, commentando gli studi presentati a Glasgow sulla rivista Medico e bambino. Il dato che però emerge chiaramente è che quanto e più precoce è la frequenza tanto maggiori sono è i benefici.
DUBBI RISOLTI - Nel congresso britannico sono anche state fortemente ridimensionate le preoccupazioni che erano emerse in passato sul versante comportamentale. Le critiche agli asili d’infanzia, infatti, ancora oggi si basano soprattutto su uno studio statunitense che, a partire dagli anni Novanta, ha riscontrato nei bambini che vanno al nido maggiori difficoltà nella relazione con le madri e problemi di vario tipo, che si protraevano fino all’adolescenza. Una ricerca norvegese uscita quest’anno su Child Development, e condotta su 75mila bambini, non solo non ha trovato alcuna relazione di quel tipo, ma ha anche ha individuato alcuni errori fondamentali nel metodo seguito dagli americani, che ne avrebbero inficiato i risultati. Per contro, osserva Tamburlini: «Vi è un’importante messe di studi che hanno dimostrato benefici sullo sviluppo cognitivo e sociale».
ACCESSO DIFFICILE - Nonostante i vantaggi dei nidi, e i bisogni pressanti delle famiglie con figli piccoli, l’offerta di questo tipo di scuole in Italia copre solo il 10-20 per cento delle necessità e spesso le rette sono troppo alte. Conclude Tamburlini: «Sarebbe il caso che il nostro governo, le nostre Regioni e i Comuni impegnassero più risorse per questo fondamentale investimento. Provate a pensare cosa succederebbe se venisse prodotto un vaccino che allo stesso tempo sia capace di migliorare lo sviluppo cognitivo e sociale e di ridurre del 30-40 per cento le patologie più gravi del bambino: quale amministrazione nazionale o regionale si arrischierebbe a non renderlo disponibile? Ebbene, questo “vaccino” esiste. E si chiama nido».

martedì 19 novembre 2013

15 consigli per potenziare la creatività dei bimbi


di
 Concetta Desando

La creatività è certamente un dono che alcuni hanno e altri no. Ma si può sviluppare: basta che i genitori sappiano come fare. La sofrologa e psicoterapeuta francese Michèle Freud dà 15 consigli per fare in modo che papà e mamma aiutino il loro piccolo in questo senso: basta poco per consentire ai bambini di liberare tutte le loro potenzialità creative.

1. Dategli libertà totale

“Per sviluppare la creatività del bambino – consiglia la specialista – lasciategli utilizzare tutte le forme espressive a sua disposizione: colori, scrittura, disegno, danza, sport, giardinaggio, poesia, teatro, pasta di sale, costruzioni...”.

2. Incoraggiate la sua espressione personale

Il bambino, spiega Michèle Freud, deve avere un ruolo attivo. Proponetegli tutte le attività che volete, ma non imponetegli i vostri gusti o le vostre passioni. “La creatività – sottolinea – è legata all’iniziativa”.

3. Non giudicate la qualità dei suoi prodotti

“Creare – avverte la psicoterapeuta - non è riprodurre l’esistente. Non è realizzare ‘una bella immagine’ ma piuttosto realizzare ‘a sua immagine’”.

4. Aiutate la sua sensibilità emozionale

La paura è nemica della creatività, dice la Freud. E quindi è necessario “insegnare a vostro figlio a dare un nome alle sue emozioni, a superare i timori”. Un buon metodo per farlo è attraverso le favole, dove l’eroe esprime le proprie paure e poi le supera. Mentre i più grandicelli vanno aiutati a verbalizzare i propri sentimenti.
5. Aiutatelo a sviluppare i suoi sensi
“Per sviluppare la propria creatività e intelligenza – raccomanda l’esperta – i bambini hanno bisogno di esperienze varie e legate ai sensi. Che in loro sono acutissimi, perché sono nell’età della scoperta”. Quindi proponetegli di sperimentare tutto ciò che è possibile: odori, colori, sapori… tutto fa esperienza.

6. Lasciate libero corso alla sua inventiva

I bambini, secondo la psicoterapeuta, non dovrebbero essere “confinati” in luoghi ultra-sicuri con oggetti studiati appositamente per loro. Perché “la conoscenza si nutre di tutto tranne che di monotonia. Ed essere creativi significa poter utilizzare un gioco anche in un modo per il quale non è stato progettato”.

7. Rimpiazzate i “giochi educativi” con giocattoli “veri”

I cosiddetti “giochi educativi”, secondo la Freud, “non lasciano spazio all’individualità del bambino, non gli lasciano decidere come giocare”.

8. Non snobbate le attività artistiche

Lo spirito va nutrito quanto il corpo, e l’arte è un alimento per la creatività. Quindi i musei sono utili quanto i parchi. Fategli conoscere scultura, pittura, fotografia… poi starà a lui scegliere a cosa ispirarsi.

9. Consentitegli di essere originale

“La creatività è la possibilità di sviluppare una personalità originale”, sostiene la studiosa. Quindi se al bambino piace mettere calze di colore diverso, o se vuole mettere gli stivali in gomma d’estate, lasciatelo fare.

10. Rispettate il suo pensiero divergente

Durante i primi anni, i bambini vivono in un mondo in cui realtà e finzione si mescolano. “Sono capaci di fluidità e di cambiamenti d’idea repentini, e vogliono una cosa e il suo contrario. È ciò che viene chiamato ‘pensiero divergente’. Noi genitori abbiamo perso questa dimensione fantastica, e confidiamo troppo nel pensiero unico, stereotipato. Quindi se gli chiedete ‘ di che colore è?’ e vi risponde ‘come un morso di sole’ invece di ‘giallo’, non biasimatelo: anzi, complimentatevi”.

11. Accompagnate il suo interesse per la natura

Tra i 4 e i 7 anni i bambini si interessano e si appassionano alla natura. Fategli coltivare una piantina, lasciategli osservare gli animali. E aiutatelo a elaborare la storia delle bestiole: come vivono? Cosa fanno nel bosco? La natura è creativa di per sé…

12. Cucinate insieme

Trasformare farina, latte, zucchero e uova in una torta è creatività. “Quando potete – consiglia dunque Michèle Freud – lasciate che il bambino inventi le proprie ricette, mischi ingredienti di sua scelta, aggiunga i suoi aromi”.

13. Stimolate la sua immaginazione

La fiaba della buona notte può essere un momento propizio per la creatività: chiedete al vostro bambino di raccontarvi lui una storia. O cercate insieme un altro finale per una favola nota.

14. Nutrite la sua sensibilità musicale

Fategli ascoltare melodie, suoni, e chiedetegli a cosa lo fanno pensare. Magari, fateglielo disegnare.

15. Favorite il suo spirito da costruttore

Tutti i giochi di costruzioni gli permettono di creare oggetti e forme, di fabbricare oggetti immaginari e animali mitologici. E sviluppano la creatività. “Non chiedetegli di riprodurre un modello – è l’ultimo consiglio della sofrologa – ma lasciatelo libero di inventare”.

sabato 16 novembre 2013

Apprendimento precoce: imparare da piccoli è più facile!


Oggigiorno, genitori ed educatori osservano con orgoglio e meraviglia bambini che ancora non sanno parlare né camminare ma distinguono con abilità e sicurezza il telecomando della televisione da quello del condizionatore e accendono rapidamente pc e cellulari, individuando senza problemi il tasto giusto da premere (i cosiddetti nativi digitali).
Siamo di fronte a piccoli geni? I bambini - anche quelli molto piccoli - sono “bombardati” da informazioni e stimoli provenienti dalla realtà che li circonda e ripetono semplicemente le azioni che vedono fare agli adulti. Sono come spugne e apprendono continuamente, a prescindere da un nostro reale intento educativo, e per questo è importante fornire loro gli stimoli giusti.
primi anni di vita sono fondamentali per l’apprendimento ed è un grosso errore pensare che un neonato non capisca “perché è piccolo”, dato che in realtà già possiede un potenziale inimmaginabile e un’eccezionale capacità di comprensione e assimilazione. Non bisogna dimenticare che l’intelligenza è anche frutto delle opportunità fornite e degli stimoli provenienti dall’ambiente circostante e che il cervello “cresce con l’uso”. A chi ritiene che imparare in tenera età possa rappresentare uno sforzo eccessivo e che possa rubare qualcosa all’infanzia, gli studiosi ribattono che per i bambini imparare è l’attività più bella, inconsapevole e allo stesso tempo naturale che ci sia.
Sono avidi e desiderosi di conoscere, attratti dalle novità e pieni di soddisfazione e gioia quando mostrano i loro progressi. Siamo noi adulti che, col tempo e con il nostro atteggiamento, li portiamo a convincersi che studiare sia solo un noioso e duro lavoro.

Come si può stimolare l'intelligenza del proprio figlio?

Ovviamente, non si può salire in cattedra e dare lezioni nel modo “classico” e il genitore non deve caricare il bambino di apprensioni e aspettative eccessive, né di ambizioni personali. Lo scopo dell’apprendimento precoce non è diventare il primo della classe, ma avere l’occasione di trasformare le proprie potenzialità in saperi e abilità. Il punto di partenza è il risultato scientifico secondo cui dopo i due-tre anni imparare a leggere, a parlare una lingua straniera o a fare i conti diventa sempre più difficile e ciò significa che, paradossalmente, quando il bambino a sei anni inizia ufficialmente il suo percorso di studi, l’immensa capacità di apprendimento di cui è stato dotato alla nascita già sta iniziando a decrescere.
Per quanto riguarda la lettura, è importante favorire un piacevole incontro tra il libro e il bambino fin dai primi mesi di vita. Questo non solo favorirà l’acquisizione delle competenze necessarie ad apprendere come leggere e scrivere, ma aiuterà anche a creare un momento speciale da poter condividere con mamma e papà.
All’inizio il bambino parteciperà alla lettura solo tentando di mordicchiare le pagine o di appropriarsi del libro, ma poi pian piano inizierà ad osservare le figure e a sentire attraverso il tatto i diversi materiali di cui sono fatti i libri gioco studiati proprio per i più piccoli. Pagine cartonate, di stoffa o di legno, rumori e fruscii provenienti dai fogli, finestrelle che si aprono e permettono di animare la lettura… I primi libri permettono una lettura multisensoriale. Il bambino si appassionerà al ritmo delle storie che ascolterà e imparerà a leggere le figure e poi le parole ad esse associate in modo quasi naturale, riconoscendo azioni e oggetti a lui familiari e imparando a conoscerne altri. 

piccoli geniAnche le lingue s’imparano con molta più facilità e con più successo in età prescolare e, oltre a canzoncine, filastrocche, giochi e cartoni animati multilingue, si stanno moltiplicando i corsi di lingua straniera per mamme e bambini. L’orecchio dei più piccoli è molto più attento e la loro mente molto più aperta e plasmabile, ciò permette di imparare la pronuncia e l’intonazione giusta, capacità che si riduce crescendo.

Per quanto riguarda la matematica poi, imparare i numeri giocando è davvero facile e divertente. Si può farlo giocando a carte, ma anche contando insieme il numero di pezzetti di mela nel piatto, i pastelli colorati sul tavolo o i giochi da mettere nella cesta. In definitiva i numeri sono dappertutto, basta insegnare ad associarli agli oggetti reali, perché è più facile del contare in modo astratto.
L’importante è che per il bambino tutto sia un gioco e che, pertanto, si rispettino i suoi tempi, le sue predisposizioni e i suoi bisogni, interrompendo la “lezione” prima che si annoi. Insegnare deve essere un divertimento innanzitutto per l’adulto, che, prima che veri e propri contenuti didattici, deve trasmettere con gioia l’amore per la conoscenza e stimolare la curiosità.
Una valida forma d’insegnamento può essere anche descrivere ciò che si fa o passeggiare nel parco e illustrare il nome di fiori e animali. Basta parlare con calma e chiarezza e ripetere i nomi di oggetti e azioni, in modo che possano essere memorizzati, dando poi la possibilità al bambino di fare esperienza concreta di quanto imparato.
Anche se la tecnologia aiuta e può rappresentare un valido supporto allo studio, è importante ricordare che dare gli stimoli giusti al bambino non deve significare solo fornire loro cellulari e computer supertecnologici, anche se ideati apposta per lui. Non bisogna far perdere il contatto con la realtà e il gusto della fatica che c’è dietro la scoperta di un prato verde o di un cielo azzurro… toccato con mano e non con un semplice click del mouse.

giovedì 14 novembre 2013

Genitori che avventura! Intervista a Sofia Mattessich (terza parte)

Continua l'intervista a Sofia Mattessich, autrice del libro "Genitori che avventura! Principi  pratici per educare i figli" edito da San Paolo, di cui trovate qui la prima e qui la seconda parte.

E' importante osservare il comportamento dei figli: può farci qualche esempio di come e cosa osservare e che cosa dedurre?

Per conoscere i nostri figli, occorre dialogare con loro e osservarne il comportamento; teniamo presente che i bambini usano molto di più le azioni che le parole per esprimere i loro sentimenti. 

Per riuscire a osservare il comportamento di nostro figlio e a dedurne qualcosa, occorre prima di tutto prestare attenzione e in secondo luogo riflettere.
Per esempio, se una sera fatichiamo molto più del solito a mandare a letto il nostro bambino, pensiamo a che cosa può aver causato preoccupazione o sovraeccitazione, ricordando quel che è successo oggi o che è in programma domani (abbiamo avuto una discussione accesa con nostro marito/moglie? Domani il piccolo festeggia il compleanno invitando gli amichetti a casa?). E’ importante non lasciare nostro figlio da solo con le sue emozioni, ma aiutarlo prima di tutto a verbalizzarle, dando loro un nome e identificandone le cause; poi aiutiamolo a rielaborarle e gestirle in modo adeguato (dicendo per esempio: “qualche volta la mamma e il papà discutono su qualcosa, ma poi trovano un accordo”, “anche l’anno scorso eri emozionato prima della tua festa, poi ti ricordi che sono venuti Camilla e Francesco, avete giocato con il didò, hai soffiato le candeline e aperto i regali…”).

Oppure un bambino manifesta un comportamento oppositivo in una situazione in cui normalmente è conciliante, oppure si fa male ripetutamente o litiga più del solito con il fratellino; anche qui occorre riflettere sulle cause (può anche essere solo stanchezza, connessa all’attività svolta durante la giornata oppure per esempio allo sforzo nell’affrontare un cambiamento per lui impegnativo, come l’inizio della scuola o anche il trasferimento in una località per trascorrervi le vacanze).

Se osserviamo che il nostro bambino di fronte ai compiti nuovi si scoraggia alla prima difficoltà, può darsi che abbia troppa poca fiducia in se stesso e che sia necessario fargliene acquisire di più, per esempio facendogli notare di volta in volta come ha imparato a svolgere bene una qualche attività che prima non sapeva fare.

Gli esempi potrebbero continuare all’infinito; le parole-chiave per noi genitori sono “attenzione” e “riflessione”.

"I no che aiutano a crescere": forse oggi per i genitori è la parte più difficile. Può rassicurare mamme e papà dei più piccoli dando qualche consiglio su come sia utile e possibile dire di no ai figli?

Lo stile educativo più diffuso un tempo era di tipo autoritario: i genitori facevano attenzione soprattutto a controllare il comportamento attraverso regole rigide e divieti, senza dare molte spiegazioni e coltivando poco la dimensione degli affetti. 

Oggi, nonostante il proliferare di testi divulgativi del tipo “Se mi vuoi bene, dimmi di no”, è molto diffuso uno stile permissivo, in cui ai figli si impone poco il rispetto di regole e limiti, un po’ per stanchezza (dire di no richiede spesso più energia) e un po’ perché i genitori desiderano vedere i propri figli contenti e non si rendono conto che così facendo non li renderanno felici, ma fragili. Infatti, i bambini hanno bisogno di regole (il più possibile coerenti) e di un adulto forte che sappia contenere i loro desideri, impulsi ed emozioni, che funga da guida sicura e da argine; solo così possono crescere sicuri e imparare col tempo ad autoregolarsi, finché sapranno un giorno dirsi da soli: “Ora non posso giocare, perché prima devo fare i compiti”. 

Inoltre, l’esperienza della frustrazione costituisce per i piccoli un’opportunità essenziale di imparare ad affrontare le difficoltà e di rafforzarsi; senza di essa, i nostri adolescenti andranno in crisi di fronte alle prime avversità.
La famiglia di oggi rispetto a quella di un tempo ha il grande pregio di essere un luogo caloroso, in cui si comunicano affetti. Non è auspicabile il ritorno al vecchio autoritarismo, bensì l’adozione di uno stile educativo autorevole, in cui i genitori oltre al calore dell’affetto comunichino regole chiare e coerenti e ne pretendano l’osservanza in modo fermo, stabilendo limiti e non soddisfando prontamente tutti i desideri dei figli. I bambini educati con questo stile mediamente hanno più fiducia in se stessi, sono più autonomi, responsabili e più abili nei rapporti sociali.

Quando noi genitori diciamo “no” a un desiderio di nostro figlio, dobbiamo osservare tre passi: 
1) esprimere comprensione per il suo desiderio e i suoi sentimenti;  
2) mostrargli però le esigenze della realtà; 
3) dargli sostegno e valorizzarlo. 
Per esempio, potremmo dire: “(1) Capisco che vorresti restare qui al parco a giocare con i tuoi amici e che ti dispiace dover tornare a casa, ma (2) dobbiamo rientrare, perché devo preparare la cena; (3) [quando il bambino acconsente, seppur sbuffando] bravo, ero certa che avresti capito”. 
In questo modo il bambino non percepisce un genitore “cattivo” che proibisce e sgrida, ma un genitore che (1) lo capisce e (2) gli indica le esigenze della realtà che comportano anche frustrazioni – frustrazioni alle quali (3) egli è in grado di far fronte.