giovedì 31 ottobre 2013

Genitori che avventura! Intervista a Sofia Mattessich (prima parte)


Pubblichiamo oggi, e per i successivi due giovedì, un'intervista a Sofia Mattessich, autrice del libro "Genitori che avventura! Principi pratici per educare i figli" edito da San Paolo
Nata a Milano il 9/3/1967 e laureata in Psicologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Sofia si è specializzata in tematiche relative allo sviluppo di bambini e adolescenti. Mamma di Davide e Dario, si è occupata di psicologia scolastica, disabilità, formazione genitori, adolescenti, problemi familiari e di coppia. Collabora inoltre con Cortina Editore nella pubblicazione di testi di psicologia.

La prima parola del suo libro è “relazione”: perché dà così tanta importanza a questo fattore nell’educazione?

Ogni essere umano nasce “predisposto” all’interazione sociale, ossia a comunicare e legare con i suoi simili; il neonato di pochi mesi preferisce seguire con lo sguardo il viso umano piuttosto che qualsiasi altro oggetto e preferisce il suono della voce umana a qualunque altro suono. La relazione è dunque un bisogno primario e come tale permane tutta la vita.

Quando si educa, non si può prescindere dal fatto che l’educando è un essere relazionale e solo a partire dalla relazione gli sarà possibile crescere. Certo, è importante trasmettere principi astratti e stimolare la riflessione sui valori, ma questo può essere fatto solo all’interno di una relazione e tanto migliore sarà quest’ultima, tanto più le nostre comunicazioni risulteranno efficaci… Ricordando che i figli sono “frecce vive” che partono dal nostro arco, ma alla fine saranno loro a scegliere in quale direzione andare: noi possiamo solo fare proposte credibili ed è nella relazione con loro e con l’esempio che possiamo conquistarci credibilità.

Nel suo libro parla di "relazioni di attaccamento": che cosa sono?
La relazione di attaccamento è il legame che si forma tra il bambino e chi se ne prende cura – legame che il neonato è predisposto a costruire: il pianto, il sorriso, i vocalizzi sono tutti segnali con cui il piccolo comunica i suoi bisogni, compreso quello di vicinanza e di coccole. 
Lo psicologo Bowlby è stato il primo a occuparsi dei legami di attaccamento, facendone una descrizione che è ancora oggi considerata valida. Se il genitore è sensibile ai messaggi trasmessi dal piccolo e risponde in modo adeguato ai suoi bisogni e ai suoi stati emotivi, si sviluppa un legame di attaccamento cosiddetto “sicuro”, all’interno del quale il bambino costruisce un’immagine di sé come amabile e degno di attenzione e dell’altro come amorevole e degno di fiducia – un’ottima “base” dalla quale poi staccarsi per esplorare il mondo; se, invece, il genitore non è ricettivo e disponibile oppure lo è in modo incostante e incoerente, il legame è detto “insicuro”. 
Relazioni di attaccamento sicuro costruite nella prima infanzia (0-2 anni) favoriscono nel bambino lo sviluppo delle abilità cognitive e sociali e la capacità di gestire adeguatamente le emozioni e di far fronte alle avversità, mentre relazioni di attaccamento insicuro aumentano il rischio di disagio psicologico e sociale; sottolineo che si parla di relazioni che “favoriscono” uno sviluppo ottimale o che “aumentano il rischio” di disagi: non vi è una relazione di causa-effetto lineare e deterministica tra il tipo di attaccamento e l’equilibrio dell’individuo. Teniamo presente, inoltre, che se un bambino o un adulto hanno costruito nella prima infanzia legami precoci di attaccamento insicuro, relazioni successive importanti (come quelle con una brava maestra o anche con il medesimo genitore che è stato capace di cambiare oppure, più tardi, con un fidanzato) possono modificare e correggere le loro immagini interne di se stessi come non amabili e dell’altro come inaffidabile.
Attenzione che i genitori tendono a riprodurre inconsapevolmente con i figli il legame che avevano costruito a suo tempo con i propri genitori; il divenirne consapevoli può permettere di “aggiustare il tiro”.

(continua)

martedì 29 ottobre 2013

I bambini e la tv: come non farli diventare prigionieri dello schermo


Quello del rapporto tra i bambini e la televisione è un tema di cui si discute molto. Ci si domanda qual è il tempo massimo che i bambini dovrebbero trascorrere davanti al piccolo schermo e se possa essere o meno nociva per i più piccoli. 

Il piccolo schermo ovviamente ha sia aspetti positivi che negativi ed è possibile fare un buon uso della televisione... tutto sta nel modo e nelle regole con cui i genitori decidono di impostare la giornata televisiva dei propri figli. 

Ecco allora alcuni consigli per un uso intelligente della televisione in famiglia:

  • No al telecomando in mano ai bambini. Saltare da una trasmissione all’altra fa avere al bambino solo un’attenzione breve e superficiale con il rischio di incorrere in programmi non adatti a lui;
  • Quando possibile cercate di guardare la tv insieme ai vostri figli: solo cosi potrete spiegare loro il significato di alcune azioni portandoli ad assumere un atteggiamento più attivo di fronte all’immagine e al messaggio veicolato attraverso lo schermo;
  • Assicuratevi che il bambino assuma una postura corretta durante la visione della tv e controllate che la distanza dallo schermo sia di almeno 3 metri. Verificate inoltre che la posizione del televisore sia centrale rispetto a chi guarda, che l’immagine sia poco contrastata, che la stanza non sia completamente buia e che l’audio non sia troppo alto;
  • Non utilizzate la TV come castigo o premio: la televisione non ha un valore morale e non deve essere vissuta dal bambino come unica alternativa;
  • Niente tv al mattino prima di andare a scuola. Al contrario assicuratevi che il bambino faccia una sana e nutriente colazione insieme a tutta la famiglia. Guardare la televisione appena svegli porta via tempo e attenzione alla scuola e rende i bambini stanchi e poco motivati;
  • Evitate che i bambini si addormentino davanti al televisore. Fate passare un po’ di tempo da quando spengono la tv fino a quando vanno a letto in modo da favorire un riposo tranquillo;
  • Un’abitudine negativa è quella di tenere il televisore acceso durante i pasti. Soprattutto se colazione, pranzo e cena sono gli unici momenti della giornata che potete trascorrere con i vostri bambini perché farsi distrarre dal piccolo schermo?
  • Ricordate di spegnere lo schermo anche quando i bambini devono fare i compiti;
  • Non trasformate la tv in una sorta di baby sitter. Metterli davanti al teleschermo perché magari si è occupati anche se comodo ed economico, può diventare incontrollabile. Il bambino se lasciato solo, tende inoltre a consumare cibi e bevande dolci e questo inevitabilmente non fa che favorire il sovrappeso;
  • Ricordate infine che il bambino può trascorrere il suo tempo in tanti altri modi oltre che davanti alla tv: promuovete la lettura e soprattutto le attività sportive, importanti per la socializzazione.

sabato 26 ottobre 2013

Gatto e bambino: consigli per una convivenza sicura

di Simona Cannas e Manuela Michelazzi, medici veterinari esperti in comportamento animale
La vita insieme a un gatto è un’esperienza bellissima capace di migliorare le attitudini relazionali di un bambino. È necessario però che questo rapporto sia creato in modo corretto, con l’aiuto e la supervisione dei genitori. A iniziare dalla scelta di un micio adatto a convivere con un bimbo.
Una volta appurati questi aspetti, il gatto può entrare a far parte della famiglia. A questo punto va però considerato che non tutti i gatti sono adatti a vivere con un bambino. Per questo motivo è bene informarsi e valutare con cura le caratteristiche del nuovo componente della famiglia. La nostra scelta dovrà cadere su un gatto che è stato socializzato correttamente nei confronti dei bimbi, in grado quindi di tollerare con pazienza le manipolazioni e il contatto fisico, particolarmente coccolone (ovvero che ricerca lui stesso il contatto fisico), equilibrato e prevedibile nelle reazioni.
Il consiglio è quello di andare a vedere il gattino e cercare di capire come si comporta. Se è molto timido e spaventato, o se è troppo agitato, non sarà il candidato ideale. Non esistono razze specifiche per i bambini, all’interno di ciascuna razza, e anche tra i comuni europei, possiamo trovare il gatto più tranquillo e quello più agitato e nervoso. Se il gattino adottato arriva da una famiglia con bambini, avremo più possibilità che sia stato socializzato correttamente con i bimbi, anche se purtroppo nemmeno questo assicura il gattino “perfetto”.
Questo anche perché, a volte, se i bimbi non sono stati educati correttamente nelle interazioni con gli animali, possono essere loro stessi ad avere un effetto negativo sullo sviluppo del gattino, scatenandogli l’insorgenza di reazioni di paura. Per alcuni versi i gatti adulti possono essere di più facile gestione, dato che l’età rende in genere più tranquilli e pacati. Il soggetto adulto offre inoltre la possibilità di interpretare più facilmente il tipo di carattere; di contro, se esistono tratti caratteriali difficili e non immediatamente evidenti, negli adulti sono più difficili da risolvere.
In tutti i casi, una volta scelto il gatto, è essenziale che i genitori supervisionino sempre le interazioni del piccolo felino con i bambini, soprattutto finché questi sono piccoli. Se parliamo di neonati è bene sapere che i gatti sono attratti dai giacigli accoglienti e quindi cercano quasi sempre di andare ad acciambellarsi nella culla o nel lettino, se non addirittura sopra bambino che emana un calore molto gradevole per il micio. Per evitare questa eventualità, è sufficiente non far entrare il gatto nella stanza del neonato oppure coprire la culla con una rete apposita.
Nel caso si “scoprisse” il gatto mentre riposa sugli oggetti del bambino, o cerca di entrare nella sua stanza, evitiamo di urlare o di punirlo. In questo modo il micio potrebbe fare un’associazione negativa col bimbo e sviluppare paura nei suoi confronti; basterà semplicemente prenderlo in braccio e portarlo via o attirarlo fuori dalla stanza con del cibo o con un gioco. Altri problemi potrebbero insorgere nel momento in cui il bambino inizia a crescere, a muoversi e a cercare di avvicinarsi al gatto per stringerlo, tirargli la coda o il pelo. 
Anche in questi casi è necessaria la supervisione dei genitori, soprattutto se il gatto di casa è particolarmente timido, ansioso, pauroso o aggressivo. Il bambino infatti può involontariamente fare male al gatto e quest'ultimo, per difendersi, è facile che reagisca reagire graffiandolo. Da un punto di vista sanitario, è bene portare il gatto appena adottato dal veterinario per un controllo clinico e per le vaccinazioni di base. Queste hanno lo scopo di prevenire patologie importanti per l’animale, che comunque non hanno nessuna possibilità di contagio per noi esseri umani. Il controllo veterinario può escludere o curare un’eventuale micosi che invece è trasmissibile agli esseri umani.
È inoltre consigliabile trattare sempre i gatti per i parassiti esterni come le pulci: la somministrazione mensile dell’antiparassitario è consigliata in particolar modo per i mici che hanno la possibilità di uscire di casa, ma esclude ogni rischio anche per i gatti che vivono sempre in casa, dato che anche noi entrando e uscendo possiamo portare nell’ambiente domestico le uova di questi parassiti che poi si schiudono grazie al “terreno fertile” che trovano.

giovedì 24 ottobre 2013

Come essere un bravo papà: 5 regole sul ruolo del padre

1) Cominciate a fare il papà dalla gravidanzaPartecipate alla gravidanza, parlate delle vostre speranze riguardo al bambino, siate coinvolti nella cura del neonato fin dall’inizio. Questo atteggiamento “accende gli ormoni”: i padri possono diventare i massimi esperti nel riaddormentare i bambini nel cuore della notte! Siate orgogliosi di queste capacità.

2) Trascorrete tempo con il vostro bambinoAnche se avete un lavoro che vi assorbe molto, sfruttate i week-end o le vacanze per dedicarvi completamente al vostro bambino. Dai due anni in poi, invitate ogni tanto la mamma del vostro bimbo a ritagliarsi del tempo per sé e a lasciarvi soli con il piccolo. Ve la caverete alla grande, non temete. 

3) Abbracciatelo e ditegli bravo quando lo meritaAbbracciare, accogliere, fare il solletico e giocare alla lotta sono basilari per un buon rapporto con i figli (anche quando crescono). Imparate a essere espansivi e a complimentarvi con i vostri figli.

4) Pensate a come divertirvi con lui e poco alla competizioneGodetevi i vostri figli: la storia della “qualità del tempo” è un falso mito. I bambini hanno davvero bisogno di voi, e a lungo: sforzatevi di trovare delle attività che divertano entrambi, ma sgomberate il campo dalla smania da competizione (con altri bambini o padre e figlio) che impoverisce il divertimento

5) Fate anche ‘il lavoro sporco’: colloqui con le maestre, visite dal pediatra...Non fate i papà “da tempo libero”, lasciando tutto il lavoro duro alla madre. Siate coinvolti nelle decisioni,sorvegliate attentamente i compiti e i lavori a casa. Soprattutto, imparate a lavorare ‘in team’ con la mamma del vostro bambino.

martedì 22 ottobre 2013

Lo sviluppo del linguaggio del neonato


Fin dalla nascita, il neonato compie azioni che lo preparano fisicamente ed intellettualmente al 
linguaggio. Sia che succhi, grida, pianga, cinguetti o vocalizzi, il vostro bimbo si prepara a parlare e ad esprimersi. Tutti questi giochi vocali, infatti, gli insegnano a modulare i suoni, a fare rumori d’ogni sorta, aiutandolo a prepararsi a parlare, un giorno.
La preparazione degli organi non è l’unico motore che si attiva, perché lo sviluppo del linguaggio è strettamente legato sia allo sviluppo del pensiero sia agli scambi con il proprio ambiente e con gli esseri umani che circondano il vostro bimbo. Fin dalla sua nascita, un neonato ha quindi bisogno di un ”immersione nel linguaggio” ed è, da subito, affascinato dalla parola. Parlare al proprio bambino fin dalla nascita è il modo migliore per prepararlo al linguaggio. Parlate al vostro bambino, cantategli canzoni, filastrocche, giocate con le parole… Non importa che il piccolo le capisca, l’importante è che le senta.
Alla nascita, tutti i bambini sono predisposti ad apprendere qualsiasi lingua, senza nessun’eccezione. In seguito, ogni bimbo si “specializzerà” a parlare la o le lingue che sente.
L’apprendimento delle lingue si fa, in un primo tempo, attraverso un procedimento d’imitazione e riproduzione dei suoni sentiti.
La velocità d’acquisizione del linguaggio può variare da un bambino all’altro. Le grandi tappe che vi proponiamo sono segnalate unicamente a titolo indicativo. Alcuni bambini “bruceranno” le tappe mentre altri faranno con comodo. Ci sono bambini che passano velocemente i primi livelli d’acquisizione del linguaggio e poi regrediscono per un determinato periodo.
Non preoccupiamoci se un bambino di 2 anni possiede un vocabolario limitato ad una decina di parole! Tuttavia, se lo sviluppo del linguaggio del vostro bambino vi sembra preoccupante o se constatate una regressione o un ristagno che ritenete troppo lungo, non esitate a consultare il vostro pediatra. E’ sempre  meglio consultare un medico che dirà che non esiste motivo di preoccuparsi che sottovalutare un disturbo del bambino.
Fin dalla nascita il neonato si esprime con il pianto e con esso cerca di indicarci un malessere, un malumore,  che impareremo rapidamente a decifrare secondo l’intensità, del tono, della posizione di mani e piedi… riuscendo così a rispondere alla sua richiesta d’aiuto. Imparerete presto ad avere fiducia nelle vostre capacità di genitore in grado d’interpretare i suoni emessi dal bambino.

sabato 19 ottobre 2013

Scegliamo lo sport giusto con i nostri figli

Lo sport, per il bambino, deve essere prima di tutto un gioco da vivere con gioia insieme ai coetanei. È un momento di incontro e di aggregazione per aiutare a crescere sani nel corpo e nello spirito. Allo stesso tempo può rappresentare un’occasione per imparare i fondamenti dell’attività motoria.

I bambini dovrebbero arrivare spontaneamente alla scelta di fare sport; ai genitori spetta incoraggiarli, tenendo conto della loro età e della disciplina che intendono praticare.
Spesso è difficile dare una mano al bambino per scegliere lo sport più adatto alla sua età, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, ma non dobbiamo decidere per loro. Non esistono sport di serie A e sport di serie B; ogni disciplina ha le sue caratteristiche, le sue regole (sia individuali che di gruppo) e sviluppa specifiche capacità e competenze in chi lo pratica. È importante una pratica regolare e formativa.
I genitori non devono mai dimenticare che lo sport viene praticato soprattutto per sviluppare il corpo, la psiche, per formare il carattere e per educare ad una sana ed onesta competizione basata su regole chiare e condivise.
Nessun bambino «deve» diventare un campione per forza, ma va aiutato ed incoraggiato a svolgere con impegno e passione l’attività sportiva, va educato al rispetto delle regole e degli avversari, all’accettazione del risultato senza eccessive aspettative e senza sensi di frustrazione.

Lo sport, se praticato con impegno e costanza, vissuto con
 spirito di amicizia e solidarietà, può diventare una vera «scuola di vita» insegnando al ragazzo che l’impegno e la leale competizione pagano sempre. L’eventuale insuccesso temporaneo può essere di stimolo alla ricerca ed al raggiungimento di risultati futuri più alti e positivi sia sul piano personale che su quello sociale e lavorativo.
Ecco qui sotto una sintetica griglia sugli sport più diffusi con le età consigliate e le principali indicazioni dal punto di vista psicomotorio
Atletica leggera: dai 6 anniI movimenti tipici di questo sport coinvolgono tutti i muscoli del corpo, per questo è consigliato. Coinvolge in modo armonico il sistema cardiocircolatorio e respiratorio, richiede prontezza di riflessi e capacità di affrontare la sofferenza ed il disagio
Arti marziali: 5-6 anni
Consente di acquisire un ottimo senso del proprio corpo nello spazio quanto di sfogare in modo non violento l’aggressività; favorisce l’autocontrollo perché si insegna la pratica del contatto disciplinato con l’avversario.
Calcio: 5-6 anni
Lo sport per eccellenza in Italia, praticato ad ogni età. Permette un buono sviluppo fisico, anche se privilegia gli arti inferiori, e favorisce la coordinazione. Sviluppa velocità e resistenza. Attenzione però perché può stimolare la competizione esasperata.
Pallacanestro: 5-6 anni
È una disciplina completa: sviluppa sia gli arti inferiori che superiori, richiede velocità e resistenza. Dà un’ottima coordinazione oculo-manuale. Può essere uno sport duro, è infatti fondamentale il contatto fisico. È particolarmente adatto a favorire la socializzazione.
Nuoto: dalla nascita
Può essere praticato da subito, a tutte le età. Il nuoto è uno sport non traumatico e completo, che sviluppa armoniosamente tutte le parti del corpo. Apporta inoltre grandi benefici dal punto di visto cardiocircolatorio e respiratorio (è molto adatto agli asmatici). È uno sport «salvavita».
Danza: dai 5 anni
Favorisce la coordinazione e lo sviluppo armonico del corpo. La danza è infatti movimento, armonia, equilibrio, linguaggio del corpo espressione e comunicazione nello stesso tempo. Avvicinarsi da piccoli rende sicuramente più semplice l’acquisizione di abilità specifiche e di tecniche appropriate.

Equitazione:  da piccoli (amatoriale), dai 9 anni (agonistica)

Favorisce la conoscenza ed il rispetto per l’animale e la socializzazione. Adatto a migliorare coordinamento ed attenzione. Tonifica la muscolatura degli arti e dello scheletro. Vi sono rischi legati ai traumi da caduta.
Scherma 7-8 anni
È uno sport completo: sviluppa un’ottima coordinazione motoria (è prevista una seria ginnastica di compensazione per la parte del corpo che si usa di meno), ma anche capacità intellettive (equilibrio e prontezza mentale).
Tennis:  9-10 anni
Unisce eleganza, agilità e potenza. I programmi di compensazione previsti dai corsi più seri impediscono uno sviluppo unilaterale del fisico. Il tennis, inoltre, rende i riflessi più veloci, migliora la coordinazione, anche quella oculo-manuale, dona senso del ritmo e dello spazio.
Rugby: 7-8 anni
Sport di contatto indicato soprattutto per i maschi. Insegna a dare e ricevere colpi associati alla dinamica di gioco, attivando un meccanismo di difesa attiva. Insegna il rispetto per l’avversario e per le regole. Insegna la coordinazione e la destrezza, sviluppa tutta la muscolatura del corpo. Sono frequenti gli incidenti ed i traumatismi (solitamente lievi).

giovedì 17 ottobre 2013

Come si fa a capire se un bambino ha un’allergia alimentare?

Risponde Maria Antonella Muraro, pediatra e specialista in Allergologia e Immunologia Clinica 
Uno dei primi elementi che può indurre più facilmente a sospettare un’allergia alimentare è la stretta correlazione tra l’insorgenza dei sintomi e l’ingestione dell’alimento sospetto. In genere il bambino comincia a manifestare i primi disturbi dopo pochi minuti, o anche già durante l’assunzione dell’alimento.

I sintomi d’esordio più comuni sono generalmente a carico della cute e delle mucose (gonfiore delle labbra o della lingua, arrossamento del volto, orticaria), ma possono comparire anche sintomi respiratori (rinite o asma) o gastrointestinali (vomito, crampi addominali, diarrea). In alcuni casi, fortunatamente più rari, compaiono sin dall’esordio sintomi più importanti, come grave difficoltà respiratoria e calo pressorio.
In altre situazioni, deve far pensare a un’allergia alimentare la ricorrenza o il peggioramento di sintomi di moderata intensità, la loro cronicizzazione e l’associazione con altre manifestazioni, come per esempio l’eczema o dermatitite atopica sotto i 2 anni di età associato a scarsa crescita o dolori addominali o rigurgiti importanti.
La dermatite atopica è un’infiammazione della cute caratterizzata da eczema, intenso prurito con estrema secchezza cutanea. In alcuni bambini, soprattutto i più piccoli, uno dei fattori scatenanti è rappresentato dell’allergia alimentare per lo più ad alimenti correlati alle abitudini alimentari della famiglia e quindi comunemente al latte vaccino, uovo, grano.

Nel sospetto di un’allergia alimentare è opportuno che venga consultato il pediatra curante o l’allergologo prima di effettuare diete di eliminazione fai da te con l’ obiettivo di mirare la diagnosi ed evitare problemi nutrizionali.

Non esiste un test di laboratorio che da solo possa identificare o escludere un’allergia alimentare. Si tratta bensi di un percorso diagnostico che comprende una storia accurata dei sintomi, accertamenti direttamente sul bambino (prick-test), esami di laboratorio sul sangue, diete di esclusione finalizzate alla diagnosi e test di reintroduzione-scatenamento in ambiente protetto per il controllo di eventuali reazioni gravi.
La positività dei test non stabilisce tuttavia una relazione sicura di causa-effetto tra l’assunzione dell’alimento e la comparsa della reazione allergica. Per tale motivo, va instaurata una dieta “diagnostica” di esclusione dell’alimento o degli alimenti sospettati, per periodo breve variabile da 7 a 21 giorni a seconda dei sintomi per verificare il miglioramento dei sintomi con l’eliminazione di alcuni allergeni. Alla dieta di esclusione diagnostica, deve far seguito un test di reintroduzione dell’alimento/i. Tale test consiste nella somministrazione per bocca di quantità dell’alimento a dosaggi crescenti e definiti in base alle caratteristiche dei sintomi e delle reazioni dello specifico bambino. Il test va eseguito in ambiente “protetto” sotto la supervisione di personale competente nella valutazione delle eventuali reazioni e in grado di intervenire in maniera appropriata qualora queste si manifestassero. La correttezza di tutte le fasi di questo percorso diagnostico è fondamentale per la diagnosi e condiziona la gestione definitiva della malattia.

martedì 15 ottobre 2013

Il raffreddore nei bambini

Il raffreddore è uno dei disturbi più comuni in grandi e piccini.
I bambini, specie i più piccoli manifestano il proprio fastidio immediatamente: sono più irritabili del solito, hanno il nasino chiuso e gli occhi lacrimosi, sono tutti segnali evidenti del fastidio che provano quando hanno il raffreddore.
L’aiuto migliore è, ai primi sintomi, fare il possibile per migliorare la loro respirazione, ossia rendere più fluido il muco utilizzando sostanze naturali aromatiche in forma di gel spalmato sul petto, fare inalazioni di vapori di soluzioni saline, umidificare gli ambienti e togliere il muco con le apposite pompette di gomma che non provocano nessun fastidio nel bimbo e che lo aiutano a “soffiarsi il nasino” visto che da solo ancora non sa farlo. 


Consigli e rimedi

Si dice che per evitare il raffreddore e l’influenza bisogna coprirsi ed evitare il freddo: è una pura invenzione.
Anzi, i luoghi chiusi, caldi e affollati sono l’ambiente preferito dai virus per propagarsi rapidamente con un solo colpo di tosse.
Un rimedio naturale è dato dalla propoli che diffusa nell’aria aiuta a sanificare gli ambienti e riduce del 70% il rischio di contrarre raffreddori e mal di gola, può essere utilizzata anche sotto forma di gocce o inalata.
Detti popolari e curiosità
I dati più recenti dicono che il 46% degli italiani è colpito ogni anno dal raffreddore, con una media di 5 raffreddori ciascuno ogni anno e una perdita complessiva di 40.000 giornate di lavoro e 20.000 giorni di scuola.
La nonna diceva che per guarire dal raffreddore usando le medicine sono necessari 7 giorni... perché il raffreddore passi da solo ci vuole una settimana!

sabato 12 ottobre 2013

Quanto dura lo svezzamento?


Quanto dura lo svezzamento? E da che età il bambino può mangiare a tavola le stesse cose degli adulti?
Qualche buon consiglio su come gestire questo delicato passaggio.
Innanzitutto l’educazione alimentare inizia fin dai primi giorni di vita del bambino, anzi, già dai nove mesi di gravidanza.
Nei primi mesi il neonato assume solo latte. Ma dal quinto–sesto mese può cominciare ad assaggiare cibi diversi.

Si comincia con la frutta. Poi si passa alle pappine e via via a cibi sempre più solidi. Dall’anno in poi il bambino può mangiare le stesse cose degli adulti. Ovviamente bisogna considerare quanti denti ha il piccolo!
Un trucchetto: mettete tra i giochi del bimbo un cucchiaino, un piattino e un bicchiere di plastica. Comincerà così a prendere confidenza con questi oggetti a lui sconosciuti. E quando arriverà il momento saprà già come utilizzarli!
Varietà. La parola d’ordine deve essere proprio la varietà dei cibi proposti. Il bambino deve assaporare gusti differenti e abituarsi a mangiare tutto.
Non gli piace la verdura? Ci sono talmente tante varietà in commercio e talmente tante ricette da sperimentare che qualcuna di suo gradimento si troverà! E non abbiate timore di cimentarvi in pietanze nuove che neppure voi conoscete. Sarà una bella scoperta per tutta la famiglia!
Il bambino si sporca? Pazienza! Nei primi periodi bisogna avere tanta pazienza perché il piccolo buongustaio deve sperimentare. Deve sperimentare il cibo in tutti i suoi colori, profumi, sapori.
Ed ora tre consigli fondamentali per avvicinare correttamente il bambino al fantastico mondo dell’alimentazione:
1) Mangiare insieme: condividete il momento del pasto con tutta la famiglia
2) Alimentazione sana: proponete sempre un’alimentazione sana, equilibrata e completa
3) Lasciare toccare: non abbiate paura di far toccare il cibo ai vostri pargoli.
Buon appetito!

giovedì 10 ottobre 2013


Pubblichiamo oggi questa divertente recensione per la libreria dei nostri piccoli tratta dal blog di Davide Nonino, Quante storie Papà.

"Nell’infinita classifica delle gioie di papà che sto costruendo, questa delle storie della buona nanna è di sicuro nella top ten del momento. Proprio un paio di settimane fa, per la prima volta, ho addormentato (o steso dal sonno o fate voi) Nicolò leggendogli una storia (o meglio cinque storie perché c’è voluto un po’).

Ma non vi dico la soddisfazione, lui a seguire con quegli occhioni spalancosi e tu lì a leggere soffice svolazzando fra animaletti e nuvolette. Anche questa fa parte dell’identica classifica di gioie che è impossibile replicare su blog o altro formato non vivente.

Che poi l’ho addormentato con 365 storie illustrate da Richard Scarry (lo stesso, scotchato e restaurato, che usava mia papà e vuoi mettere che effetto nanna?). Oltre a questo grande classico (che trovate ancora in libreria con le stesse illustrazioni e storie solo rivisto un attimo nel layout) vi consiglio altre due chicche per la nanna dei bimbi atterrate dritte nella nostra baby-libreria.

Per i più piccoli:
A tutta nanna (Sinnos editrice). Una delizia di libro a misura di piccolissimi che recita così nella quarta di copertina (che da sola varrebbe l’acquisto): se tu dormi assieme ad un libro, alle 6 di mattina se hai freddo lui si spoglia e ti dà la copertina! Racconta la storia di un bimbo come tutti che non vuole mettersi a nanna che però, pagina dopo pagina, scopre quali meraviglie possano nascondere i sogni.

Per i più grandi:
100 storie per quando è troppo tardi (Feltrinelli e Scuola Holden). Fa parte della collana Save the parents e la quarta di copertina è tutta un programma: L’idea di fondo è semplice: il vostro bambino vuole la storia? Dategliela. Ma corta. Lui vince e voi non perdete. Tutti contenti. Storie e altri mezzi di soccorso per mettere in salvo genitori sprovveduti che pensavano che crescere un figlio fosse tutto sommato una passeggiata.
Le storie sono spesso strampalate e stralunate ma hanno il gran pregio di strappare a tutti un sorriso."

lunedì 7 ottobre 2013

Giocare: il lavoro del neonato


Il gioco è di un’importanza fondamentale per lo sviluppo cognitivo del bambino. Fate capire a vostro figlio quanto ritenete importanti i suoi giochi, lo valorizzerete e lo stimolerete.

La valorizzazione avviene attraverso:
-  Il linguaggio: Françoise Dolto ha insistito sulla necessità di parlare ai nostri bambini sin dalla più tenera età. Valorizzate i suoi progressi, spiegategli quanto importante trovate tutto ciò che fa.

-  Il tempo: prendete il tempo di giocare con vostro figlio. Non dovete giocare tutto il giorno con lui, ma il tempo che dedicate al gioco deve essere continuativo e senza brusche interruzioni. Meglio prevedere momenti di gioco brevi ma completi. Terminate il gioco valorizzando i risultati, anche se non vi sembrano così evidenti. A priori, non c’è niente di straordinario nel vedere una pila di cubi crollare ma, se cercate di vederli con gli occhi di un neonato, vi accorgerete che è fantastico! Il bambino inizia anche in questo modo ad acquisire nozioni di reazione a catena, azione che determina una reazione, gravità…

-  Rispettare il tempo necessario al gioco in solitario: per imparare, il bambino ha bisogno di sperimentare da solo, senza interventi da parte degli adulti, che siano per incoraggiarlo o per correggerlo.

-  Incentivare il gioco: potete mettere a disposizione del bambino piccolo uno spazio dedicato alla scoperta senza limitarlo all’utilizzo di giochi confezionati.

-  Rispettare i suoi ritmi: anche un neonato o un bambino ha il diritto di sognare e perdere tempo! Non dimenticate che una stimolazione eccessiva può essere nociva.

-  Amarlo, ed amarlo ancora di più! 

venerdì 4 ottobre 2013

Dal lettone al lettino

Risponde la dott.ssa Lucia Todaro, psicopedagogista
Perché i bimbi vogliono sempre stare nel lettone di mamma e papà?
Perché è bello, è bello sentire il calore umano, è bello sentire il contatto fisico con le persone che più amano, ed è un bisogno, dopo una giornata intera, quello di stare un pochino attaccati al loro papà e alla loro mamma. E’ un bisogno molto sano, un bisogno di affettività e comunicazione.
Insomma è una cosa normale, non è sinonimo di un problema?
No, diventa un problema solo se il genitore non si accorge che, nonostante il lettone, deve aiutare il suo bambino a diventare sempre più sicuro di sé e quindi anche a superare la difficoltà e la paura che può avere nel dormire nel suo lettino. Perché un bambino che sa dormire nel suo lettino si sente più forte e più sicuro di sé nella vita.
Ma come facciamo a far capire ai nostri figli che è un bene dormire nel proprio lettino?
Bisogna proprio accompagnarli, avere la pazienza di stare vicino a loro nel lettino, raccontargli una storia, fargli sentire della musica, parlare, mettere comunque a suo agio il bambino in maniera che abbia facilità nello stare nel lettino e sentirsi tranquillo. E se qualche volta arriva nel lettone di notte, avere la pazienza di prenderlo e di riportarlo nel suo lettino con tranquillità: se il bambino sente che papà e mamma hanno fiducia in lui, lui a poco a poco avrà fiducia in se stesso nel superare le sue paure.
E non avere più paure?
No, le paure sono una cosa normale per un bambino ma è superando le paure che diventa grande. Ecco perché la paura del buio può essere affrontata lasciando una lucetta di emergenza accesa piuttosto che la porta aperta perché si veda la luce dall’altra stanza, la mamma può allontanarsi ma continuare a parlare con il bambino dalla stanza in cui è andata, ma lui deve imparare a superare quella paura perché così si sentirà veramente forte e grande, un pochino alla volta.
Come far addormentare bene il nostro bambino?
Bisogna accompagnarli a poco a poco e passare dall’eccitazione della giornata a quella che è la tranquillità che il buon sonno richiede: per cui un bagnetto caldo prima di andare a letto, una tisana che possa aiutare il sonno, ma anche evitare quelle attività come i cartoni animati, troppo eccitanti. Invece una storia, la musica, papà e mamma che gli fanno le coccole sono un modo meraviglioso per abituarlo a stare nel suo lettino.

mercoledì 2 ottobre 2013

Qual è il ruolo dell’adulto nel gioco del bambino?

Risponde Francesca Santarelli, psicologa infantile
Fin dai primi mesi di vita, andrebbe promossa l’autonomia del gioco. A volte i bambini più piccoli possono intrattenersi piacevolmente diversi minuti anche solo fissando un raggio di sole o un orologio a pendolo, ma è possibile anche mettere a loro disposizione un gioco o qualsiasi oggetto sicuro che si trova in casa. L’importante è non intervenire né interferire se non ce n’è davvero bisogno e, in tal modo, dar loro la possibilità di esercitare la fantasia e la creatività, ma anche l’autostima, la capacità di organizzazione e l’indipendenza.
Saper giocare anche da solo, infatti, è per il bambino (e anche per il genitore) una grande conquista. Certo va bene un incoraggiamento ogni tanto, ma abituare il bambino a continue “imbeccate” e intromissioni non solo significa limitare la sua spontaneità e la sua fantasia.
Ci sono, comunque, bambini che amano giocare da soli fin da molto piccoli e altri che, invece, dimostrano maggiori insicurezze e indecisioni, ma, a parte una questione di carattere, è anche una questione di “allenamento”. 
Quanto appena detto, però, non significa che, comunque, un genitore non debba sempre far in modo di trovare del tempo per giocare con i propri figli, anche perché ciò infonde loro sicurezza e protezione, oltre che renderli felici. È importante, però, che il genitore non faccia finta di giocare con il proprio bambino, magari mentre pensa al lavoro o a cosa preparare per cena. Il bambino riesce a percepire il grado di coinvolgimento dell’adulto e merita, perciò, che egli gli si dedichi in maniera assoluta, anche se solo per mezz’ora  Giocare con un bambino non deve significare sostituirsi a lui o intervenire se il gioco non procede come previsto. Il gioco del bambino, infatti, va dall’adulto promosso, stimolato e sostenuto con attenzione per sfruttarne a pieno le potenzialità, ma la spontaneità va assolutamente preservata. 

Spesso fa comodo ai genitori sempre più acrobati tra mille impegni, sfruttare tv e videogiochi come babysitter e, spesso, capita di sentire i genitori ammettere di non sapere come giocare con i propri figli e sentirsi anche quasi a disagio nel farlo. Basterebbe liberare la mente da ogni pensiero e tornare a quando si era bambini, lasciandosi andare ed essendo spontanei. Giocare e ridere insieme fa sentire uniti come non mai e può regalare momenti di altissima qualità, anche se non si ha a disposizione molto tempo, perché in fondo anche cucinare o rassettare la casa possono diventare un’attività divertente!